Il mio otto marzo non è fatto di cianfrusaglie o discorsi autorevoli. E’ fatto di pioggia e silenzio, di natura e memoria. Contiene quanto nessuno ha e potrà mai avere. Nuvole alte e fili d’argento che rompono l’aria e aprono il cuore. Donne vestite a nero, massaie che fanno le trecce di fichi secchi e asciugano grappoli d’uva e fichidindia al sole sui balconi. Vacche e donne silenziose di pastori, sperdute nei campi di una Sicilia senza tempo. Gerani curati dai poveri sulle verande e sulle finestre di pietra e fango. Donne che, con le loro mani eternamente pazienti e attive, li rendevano fioriti, come i fiori importanti dei roseti e dei giardini dei principi. Gardenie e orchidee spontanee raccolte nei luoghi ignoti dei viottoli di montagna, nei giorni di luce e di leggero vento.
Il mio otto marzo non è fatto di mimose, raccolte lungo le autostrade, o da qualche albero nei villini dei borghesi. E’ il rosario che si snoda dalla memoria della nostra terra, dal nostro essere siciliani e italiani, sequenza di preghiere e di lavoro inventato per sopravvivere. Ci sono tutte, con le loro velette e i volti fasciati di nero, come Francesca Serio, madre di Salvatore Carnevale. Ci sono le vedove della strage di Alia, e il vestitino rosso non finito di Antonella, figlia di Nicolò Azoti, sparato a Baucina. C’è Tatiana, la moglie russa di Accursio Miraglia, che morì a Sciacca, sempre affranta dal dolore. E le donne che a Viterbo – andarono verso il tribunale per dire ai giudici che le dovevano interrogare – loro che avrebbero avuto il diritto di interrogare – che nulla potevano sapere sui mandanti e sugli esecutori di quegli atroci crimini contro l’umanità: assalto con armi da guerra contro donne e bambini che festeggiavano il primo maggio 1947 o aggressioni terroristiche contro le Camere del Lavoro della provincia di Palermo il successivo 22 giugno. Vedove rimaste vedove per sempre, senza la giustizia che speravano, senza la verità che volevano. Come Francesca Serafino, moglie di Calogero Cangelosi, capo-lega di Camporeale, ucciso da Vanni Sacco il 2 aprile 1948. Francesca che vestì il nero, e dovette emigrare con i suoi figli piccoli, perché qualcuno aveva deciso che non poteva stare nel suo paese.
Il mio otto marzo è un elenco di volti e di storie. Sconfitte e resurrezioni: le sconfitte di uno Stato, fatto di negazioni della verità e di offese alla giustizia, di morti che urlano e di autorità sorde e ostili. Se almeno una di tutte queste donne, avesse potuto nella sua vita sorridere! Come non ha sorriso Anna Politkovskaïa, assassinata nel 2006 per la sua attività di giornalista che si batteva contro la politica di Vladimir Putin. Come non ha sorriso Boris Nemtsov, anche lui oppositore di Putin, ucciso il 27 febbraio scorso mentre si trovava con la modella ucraina Anna Duriskaya, lungo un ponte sulla Moscova. Le mie donne, che oggi festeggio, sono emarginate e nascoste. Attraversano il buio dei tunnel infiniti, come la cattiveria degli uomini di potere che vivono di finzioni e recite. Sono l’avanguardia di un esercito di combattenti che viene da lontano e ci indica la strada da percorrere. Sta a tutti noi trovarla.
Giuseppe Casarrubea
Magazine Cultura
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