All’interno del “Contrappunti” di settembre 2009 trovava spazio il mio ricordo del primo concerto a cui ho assistito da adolescente, quello dei Van der Graaf Generator: era il 1972.
Sono riuscito a risalire a una data importante. Importantissima per chi è cresciuto a pane e musica: mi riferisco al primo concerto a cui ho assistito.
Mi sono “formato”, da tutti punti di vista, nei primi anni 70 però… non ero abbastanza grande per possedere una buona autonomia di movimento, quindi quei concerti a cui ho avuto la fortuna di assistere, erano tutti “sudati”.
Ricostruire il primo concerto è cosa emozionante, ma pressoché impossibile, perché sto parlando del 1972 , trentasette anni fa.
Non esistevano le videocamere e l’ultima cosa che poteva venirci in mente era quella di utilizzare ingombranti apparecchi fotografici e quindi… l’archivio è la mia sola
memoria.
Leggendo “Codice Zena
”, di Riccardo Storti, ho anche scoperto che quel mio iniziale approccio è anche considerato il primo passaggio del prog internazionale da Genova .
Sto parlando dei Van Der Graaf Generator, Teatro Alcione, 30 maggio 1972
Sarebbe stato bello avere coscienza di ciò che stava accadendo, avere l’idea che si stava vivendo in prima persona un pezzettino di storia.
Tutto è relativo, e il termine “pezzettino” si può ingigantire a dismisura, a seconda della prospettiva.
Avevo 16 anni, ed ero impregnato e invaso da quella musica che ascolto ancora oggi.
I veicoli informativi erano per me Ciao 2001 e “Per Voi Giovani
”.
Indimenticabile quel pomeriggio in cui ascoltai la recensione radiofonica di Pawn Hearts,
un racconto talmente efficace che arrivai al concerto con le idee chiare.
Sino a quel 30 maggio non avevo mai pensato che ciò che ascoltavo sul vinile poteva essere presentato anche in un teatro. Sottolineo il 30 maggio, perché la proposta mi venne fatta all’uscita da scuola , con poche ore davanti per convincere i genitori.
Lo spettacolo iniziava alle 16. Eh sì, pomeriggio e sera a quei tempi!
Non so perché ma ottenni il permesso facilmente:” ... dai mamma, siamo in tanti
….”
Con 2000 lire in tasca ( mi pare che l’entrata fosse 1500) mi ritrovai in nutrita compagnia sul treno che da Savona portava a Genova.
Ricordo una grande emozione.
Ora è relativamente facile avere contatti e pseudo amicizie con miti musicali, ma in quei giorni lo spazio esistente tra un ascoltatore, e un artista che “girava” su vinile e splendeva su 2001, era abissale.
Dalla stazione Brignole al teatro, forse un paio di chilometri, l’agitazione aumentò e questo stato d’animo mi ritorna al solo pensiero. Ricordo persino che indossavo una maglietta verde, girocollo e … capelli lunghissimi.
Non ho memoria invece dell’ambiente, di quelli che allora venivano definiti “capelloni”, termine negativo per chi
lo adoperava, elemento di vanto per chi invece lo subiva.
La pittoresca ”corte dei miracoli”, che tanto avrebbe colpito successivamente un ragazzetto come me, quel giorno fu nascosta dall’essenza, dal significato profondo della partecipazione ad un evento da brividi.
Forse i biglietti non erano numerati, ma le poltrone erano molto comode, niente a che vedere con la vita hippie che stava prendendo forma anche in Italia.
Ma a ben vedere i V.D.G.G. non sono stati per me
i primi.
A fare la spalla, si diceva così un tempo, c’erano i Latte e Miele e la prima immagine che ho di quel palco è un batterista giovanissimo, capelli lunghi, occhialini tondi e denti sporgenti. Era Alfio Vitanza,
ovviamente.
Ricordo solo di aver pensato all’accostamento con ELP , per effetto di un trio dallo stampo classicheggiante. Poi il palco si oscurò.
Un fascio di luce fu proiettato al centro del palco dove c’era una sedia su cui era seduto Peter Hammill
, con la sua chitarra appoggiata alla gamba destra.
Partì l’arpeggio di Lemmings e ancora ora, mentre scrivo, mi sembra di sentirlo.
Non mi sono rimasti altri dettagli di quel pomeriggio, solo le atmosfere rarefatte create dai sax diDavidJackson, fusi alla perfezione con le tastiere ( e il basso) di Hugh Banton,e la particolarissima ritmica di
Guy Evans.
Impossibile spiegare cosa volesse dire sentire la voce di Hammill in quei giorni, qualcosa di “poco reale” , capace di condurre ad un’involontaria introspezione. Già di per se uno strumento “ globale”.
Se adesso
mi fosse chiesto quale immagine mi arriva immediatamente , pensando a quel 30 maggio lontano, beh, mi vengono alla mente i colori azzurro e nero, delle stelle, degli omini sospesi nel vuoto… ecco la copertina di un disco in vinile aveva questa capacità, dare la forma e il colore a uno dei momenti significativi della vita.
Esagerazione? Sopravvalutazione di fatti in realtà insignificanti?
Forse, ma sono contento di poterlo in qualche modo raccontare.