Il mio senso per la prospettiva

Da Olineg

Oggi è probabilmente il giorno più caldo dell’anno, e dove mi trovo non ci sono condizionatori o deumidificatori, quindi mi si perdonerà l’elucubrazione. Ho un ricordo ben chiaro di un evento della mia infanzia, o meglio ricordo perfettamente la sensazione che provai; da bambino disegnavo molto, una volta mi cimentai nel disegno della casa, e la disegnai come fanno molti bambini, ovvero un rettangolo sormontato da un trapezio a simboleggiare il tetto, eppure percepivo che il disegno non funzionava, che non era sovrapponibile al progetto che avevo nella mia testa, ma non capivo dove sbagliavo, e ciò mi procurava profondo disagio e frustrazione, così presi la scatola delle brioche e confrontai il mio foglio con il logo del Mulino Bianco, ma ancora non riuscivo a capire, poi un adulto, non ricordo chi, mi disse che nel mio disegno non c’era prospettiva, e così fece il suo schizzo in pochi secondi, lo stesso numero di linee utilizzate, ma inclinate in maniera diversa. Ne fui sconvolto. Prospettiva, per me divenne una sorta di formula magica grazie alla quale degli angoli “sbagliati”, ovvero non retti, davano nell’insieme l’idea realistica di un dado o di una scatola. Fu un’epifania, e nonostante la mia lezione di prospettica fu tutta in quella parola e in quel breve esempio, cominciai a sperimentare varie angolazioni senza saperne nulla di punti di fuga e quant’altro, e ogni volta il risultato mi dava un brivido di piacere, un misto di esaltazione (per il risultato ottenuto) e ansia (per tutti i risultati ottenibili). Ora portiamo l’esperienza su un altro piano, prendiamo l’ascensore che porta dal semiinterrato della formazione cognitiva del singolo all’attico della coscienza collettiva. Le sovrastrutture culturali, gli obblighi e i doveri associati al nostro ruolo nella società, ci portano a osservare e percepire la realtà da un unico punto di vista, i nostri muscoli cognitivi si atrofizzano e disimpariamo a percepire la realtà da prospettive differenti, ciò ci provoca frustrazione, come il bambino che non riesce a disegnare la casa come vorrebbe, da questo nasce l’esigenza, vecchia quanto l’uomo, della ricerca degli stati alterati di coscienza, ovvero il tentativo di forzare, traslare, la nostra prospettiva sul mondo. Ecco, in questo vi è il mio senso della letteratura (e più in generale dell’arte), quello che in gergo viene definito effetto straniamento; ritengo che una delle funzioni più utili della letteratura (nel senso più esteso possibile) sia quella di suggerire, catalizzare, o rifilare con l’inganno, una prospettiva non comune, il disegno di una casa che per quanto sia bello o brutto, preciso o impreciso, ci ricordi che esistono infiniti punti di vista. O in altre parole, la letteratura che mi interessa è quella che ha lo stesso effetto destabilizzante delle cosiddette droghe, magari, qualora sia possibile, senza quelle noiose controindicazioni, tipo i deficit della memoria e l’arresto…



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