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Il mio ultimo giorno di scuola.

Creato il 11 giugno 2013 da Mik_94
Il mio ultimo giorno di scuola. Succede in tutte le commedie americane degne di questo nome. Il senior year - l'ultimo anno di liceo - è accompagnato da tutta una serie di tradizioni che ho sempre adorato e spiato da lontano: il prom, la consegna dei diplomi, un bel discorso finale da pronunciare con i kleenex a portata di mano e la reflex ad immortalare il tutto. Ma questa è la vita, non un nuovo capitolo dell'High School Musical con cui – coraggio, non nascondiamolo! – noi di questa generazione siamo cresciuti. Siamo in Italia. Qui non si fanno balli scolastici, qui non si consegnano diplomi a orgogliosi studenti in toga. Per essere fiscali, qui non siamo nemmeno ancora diplomati! Ma ad abbozzare un discorso ci tenevo. Davvero. A parlare al microfono proprio non mi ci vedo, ma dietro uno schermo tutti siamo più forti. Dietro queste parole scritte su carta nessuno mi vede tremare un po'. Non so com'è successo. Una mattina di queste, come al solito, mi sono ritrovato su Facebook senza un perché. Anzi, forse lo so: scommetto di aver aperto il portatile, con gli appunti di latino o filosofia accanto, in cerca di qualche strano paradigma o di un'anima buona che sapesse trovare un senso alle tonnellate di assurdità messe per iscritto da quello psicopatico di Kierkegaard. Al posto di googlare qualcosa di intellettualmente edificante – perché sì, ho un'esame da preparare! - ho inserito password e email e il Social Network più famoso del mondo mi ha dato il benvenuto, su una home zeppa di foto di tizi sconosciuti al mare, di frasi scritte per darsi arie da colti, di canzoni estive e trailer di film che ho già visto in streaming. Senza un perché, sono finito sul mio profilo e, andando a ritroso, ho cliccato sulle prime foto postate lì, nel lontano 2008. Il mouse mi ha connesso a un passato di cui mi vergogno sempre un po' e mi sono ritrovato a fissare il me di cinque anni fa: mmm... Madre Natura ha uno strano senso dell'umorismo, eh. Stronza proprio! Il mio ultimo giorno di scuola. All'epoca, diciamolo pure, aspettavo che si decidesse a darmi sembianze vagamente umane. Nonostante abbia sempre qualche parola cattiva più che me che per gli altri, questa volta, guardando quel ragazzotto schivo e robusto che aveva superato indenne o quasi le bolge infernali delle scuole medie – guardandomi –, ho sentito abbattersi su di me una valanga di malinconia. Ma non di rimpianto. Ho sorriso all'altro me che, dietro allo schermo, sorrideva; poi ho provato il gran bisogno di piangere, e chiudermi in casa, e piangere ancora. Un sorriso e una lacrima per tutti i giorni passati, per tutte le incazzature e i drammi, per tutte le fantastiche persone strette accanto a me in quella foto di gruppo sgranata. E pensare che io il Classico non lo volevo nemmeno fare più.  Ogni volta che mettevo piede in quella scuola sembravo braccato dalla nuvola nera di quello sfigato di Fantozzi. Fuori cantavano gli uccellini e brillava il sole, poi, una volta sull'uscio, cominciava a diluviare. Brutto segno. Indovinate il primo giorno di liceo? Già: pioveva. Sono arrivato all'ingresso bagnato fradicio e quei bei capelli, che avevo aggiustato e riaggiustato con una dozzina di vasetti di gel, gocciolavano acqua come un'ala ormai affondata del Titanic. Il mio ultimo giorno di scuola. Mi ero fatto una videoteca di film mentali, un mare di problemi: il latino (i prof pazzi!), il greco (… altri prof pazzi!), la filosofia (… altri prof pazzi ancora!). Avevo fatto i conti con tutti, ma non con le persone con cui – per i futuri cinque anni – avrei convissuto. Nonostante fosse l'ultimo dei miei pensieri, è l'amicizia che ho trovato. E perfino il ginnasio – palestra della mente o emerita ruttura di coglioni? - non mi è sembrato così infernale vissuto al vostro fianco. Noi, giovani condannati senza colpe: schiacciati dal peso del Gi, braccati dalle mille difficoltà del greco. Ricordo la prima gita, in Gregia, e quelle che sono venute dopo: bagnati fradici a Mirabiliandia dopo un acquazzone improvviso, sotto il sole caldo delle Isole Tremiti, a sorridere tutti insieme in una foto di gruppo scattata sulle scalinate del Parco Guell. Mi avete tutti lasciato qualcosa e quello che sono lo devo anche a voi. Cinque anni non li ho mai passati con nessuna classe, a pensarci bene: tre anni di elementari fatti a Palermo, gli ultimi due qui, il periodo delle medie da mettere al rogo, poi è arrivato il Liceo. Tutti dicevano sarebbero stati gli anni più belli di sempre, e lo sono stati. Ci siamo urlati addosso, sporcati le magliette con lacrime versate per un brutto voto o per una fragilità incrinata da una cattiva parola, ci siamo odiati e voluti bene, sopportati, splarlati a vicenda, confortati, irreversibilmente cambiati. Nell'ultimo periodo, con una tensione psicologica alle stelle, voi – III A – avete risvegliato la furia omicida che è in me. Mi è venuta, di tanto in tanto, la voglia idiota di trucidarvi dopo un'interrogazione rimandata, un'assenza strategica, una lite senza senso, ma adesso, sebbene voglia ancora stritolarvi, è solo per abbracciarvi tutti. Lo giuro. Per stringervi un'altra volta, sperando con tutto il cuore che non sia l'ultima. La verità è una sola: se la vita fosse un eterno ritorno e quello psicopatico di Nietzsche avesse ragione, be', io rifarei tutto da capo. Rivivrei tutto di nuovo. Uragano “Concetta” compreso. La campanella – alle 10:00 di oggi, 11 Giugno – è suonata una volta ancora. E' stata l'ultima per noi maturandi, che, tante volte, quel suono l'abbiamo atteso e desiderato come l'acqua in un deserto. Per sfuggire alla noia e alla interrogazioni, per tornare a casa attraverso una strada percorsa ogni mattina per cinque anni. Ci sono stati un paio di occhi lucidi, lunghi e familiari abbracci, ma nessun conto alla rovescia. Uno spumante stappato più per tradizione che per festeggiare qualcosa. Pensavamo che la fine della scuola ci avrebbe reso liberi – nel caso di noi maturandi, liberi soltanto di studiare per gli esami, eh – ma, invece, eravamo tutti prigionieri della malinconia. Tutti proiettati a quel giorno di pioggia di cinque anni fa. 
Il mio ultimo giorno di scuola non è stato innaffiato da lacrime, ma da tanti sorrisi venati di leggera tristezza, mentre, in sottofondo, una chitarra suonava La canzone del sole, L'essenziale, 50 Special e noi ci univamo in un coro stonato, ma ugualmente bellissimo. Come noi, infiniti come il titolo del film. Perché quando sono con voi, infondo, sono felice. Voi mi fate stare bene. Ed è per questo che mi auguro non ci perderemo mai. Adesso, su, tutti a studiare! Vi voglio bene, Michele.

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