“Durante la notte fra il 5 e 6 Marzo 1873, due donne, immigrate norvegesi, furono barbaramente assassinate sulle Isole Shoals, una manciata di isole a 10 miglia dalla costa del New Hampshire e del Maine. Una terza donna si salvò, restando nascosta fino all’alba in una grotta sul mare.
Su chi fosse stato ad uccidere Anethe e Karen Christenson, si discusse e decise in Tribunale; Luis Wagner fu condannato e giustiziato per i due omicidi, ma dubbi e lacune lasciavano spazio per altre ipotesi, e la questione è stata dibattuta per oltre un secolo.”
Il film si svolge su due piani temporali (un po’ come “Pomodori verdi fritti”, per intenderci), uno passato, la storia dell’efferato delitto delle isole Shoals, e uno presente, narrato dal punto di vista di Jean e spesso attraverso i suoi pensieri.
Jean (Catherine McCormack) è una fotografa professionista, e una rivista le ha chiesto delle fotografie per un articolo su due delitti del passato.
Suo marito Thomas (Sean Penn) è un famoso poeta già vincitore di un premio Pulitzer, ma da tempo preda di un totale blocco creativo (“non porto più neanche la penna con me”, dirà nel corso del film), ormai dedito all’alcool e gran seduttore.
Inutile dire che il loro matrimonio attraversa una crisi profonda.
Jean pensa di approfittare dell’incarico ricevuto per trascorrere un weekend ‘diverso’ col marito, per ‘staccare un pò’, per allentare la tensione fra loro:
“Mio cognato ha una barca e ho pensato che avrebbe potuto portarci all’isola di Smuttynose dove sono avvenuti i delitti.
Abbiamo lasciato nostra figlia con sua nonna… credevamo sarebbe stata una specie di vacanza.”
Sulla barca di Rich (Josh Lucas), la coppia trova l’ultima fiamma di quest’ultimo, Adeline (Elisabeth Hurley), che non si fa scrupolo di flirtare fin da subito apertamente con Thomas: questo elemento inaspettato manda a monte le speranze di Jean di riavvicinarsi al marito.
Inoltre Jean deve fare le fotografie commissionatele, e ben presto si appassiona alla storia di quel sanguinoso duplice delitto ottocentesco, e la sua attenzione è sempre più assorbita da quella nebulosa storia di più d’un secolo prima: indaga e arriva a essere certa che il colpevole non è l’uomo giustiziato.
E la regista K. Bigelow ci sposterà costantemente avanti e indietro nel tempo con sapiente maestria, dedicando uno spazio molto maggiore alla storia del passato e comprimendo all’essenziale, ‘stilizzandola’, la storia del presente.
La storia del 1873 in fondo altro non è che la storia di Maren, la donna sopravvissuta alla notte dei delitti, che si può considerare la vera protagonista di tutto il film.
Maren ancora giovanissima fu ‘punita’ dal padre e dalla sorella Karen con un matrimonio imposto all’improvviso con John, un pescatore molto più vecchio di lei: la causa era il suo rapporto d’amore col fratello Evan, un affetto troppo sconveniente e morboso, ma mai dimenticato; nemmeno quando lei e John partono, in una sorta di esilio, dalla Norvegia verso la lontanissima e sperduta isola di Smuttynose, al largo del Maine (“in America, il luogo delle opportunità”); questo circa 3 anni prima del delitto.
Maren approda su questo scoglio che non s’aspettava così isolato e desolato, vive le giornate sola mentre il marito è in mare, ed è soverchiata da tanto e durissimo lavoro, particolare su cui la regista indugia spesso, probabilmente per sottolineare la moltitudine di pressioni di ogni tipo a cui Maren è sottoposta, sia psicologiche che fisiche: la vita coniugale con un uomo che non ama, il ricordo segreto e doloroso del suo unico vero e ‘sbagliato’ amore, la solitudine, la fatica continua che s’accumula man mano che in casa arrivano ‘ospiti’ a lei sgraditi, come Luis Wagner (Ciarán Hinds), conoscente del marito a cui John per pietà vuol dare un tetto, che non esita ad allungare le mani su Maren quando John non c’è.
Anche questa parte della storia è spesso raccontata attraverso i pensieri di Maren che fanno da voce narrante, e infatti essi stessi descrivono bene la sua vita e lo stato d’animo:
“La cura migliore per la malinconia è la fatica.
Attingevamo forza dal ritmo del nostro lavoro.
Mio marito ed io ci abituammo alla solitudine.
Il lavoro non mi pesava… mi avevano cresciuta per questo.
Il vento portava via le nostre parole, perciò parlavamo di meno.
Con il lavoro, immagino, avevamo meno da dirci.
E’ meglio non correre il rischio di fare una domanda spiacevole, o rivelare un affetto per un’altra persona: potrebbe arrecare un dolore involontario.
E’ più saggio, direi, stare in silenzio, e preservare il legame.
Sapevo che non avrei mai potuto lasciare l’isola, e dovevo mordermi la guancia per non scoppiare in lacrime, che, una volta uscite, sarebbero durate per sempre.”
In questo già malinconico quadro, arrivano altre persone ad abitare per sempre sotto il loro stesso tetto: dalla Norvegia, dapprima l’odiosa sorella Karen, poi addirittura l’amato fratello Evan, che però riserva a Maren un’amara sorpresa, portando con sé una moglie bella e sciocca, Anethe, di cui è molto innamorato.
Per Maren è un durissimo colpo.
Anethe è pigra e inetta nei lavori domestici e tutta questa gente pesa su Maren: su lei comincia a gravare un impegno fisico insopportabile ed esasperante almeno quanto l’infelicità, ora accresciuta dalla presenza e dai comportamenti altrui, che deve sopportare in segreto nell’anima.
Per quanto le due storie, passata e presente, siano senza dubbio del tutto diverse nella trama, esse sono accomunate dal fatto che i personaggi di ambo i racconti sono afflitti da sentimenti, comportamenti, stati d’animo e situazioni del tutto simili: la repressione dei sentimenti (soprattutto delle protagoniste), le cose non dette che avvelenano dentro… e gli effetti nefasti della stretta convivenza, senza via o possibilità di fuga (che sia su una piccola barca in mezzo all’oceano, o sotto lo stesso tetto in un’isoletta pure in mezzo al’oceano) di persone che invece dovrebbero stare il più possibile lontane le une dalle altre, pena l’esplosione di una tragedia.
Sia Jean la fotografa che Maren la donna del passato vivono entrambe una grande tensione interiore, sono infelici, forse rassegnate e forse no: ma entrambe perdono del tutto ogni minima speranza di miglioramento appena ciascuna di loro si trova obbligata a sopportare, in un ambiente claustrofobico, lo stretto contatto con persone e situazioni sgradevoli che faranno inevitabilmente esplodere i problemi che sperano di dimenticare.
Quando Maren si abitua all’isola di Smuttynose, quando si rassegna e pensa di poter avere un’esistenza almeno quasi serena, ecco che il suo precario equilibrio è infranto dall’arrivo in quel luogo – la casa sull’isola, che diventa sempre più stretta – di persone del suo passato che tornano a renderle la vita insopportabile, persone che ama (Evan) persone di cui è gelosa (Anethe), persone che detesta (Karen), ma che deve comunque sopportare in silenzio, trattenendo e nascondendo ognuno dei suoi fortissimi e tempestosi sentimenti, che si accumulano e comprimono come gas e lava dentro un vulcano.
A Jean accade qualcosa di simile: sperava di avere un fine settimana sereno con Thomas e il suo buon cognato Rich, sulla barca. Invece troverà a bordo Adeline, senza scrupoli e disinibita, per giunta attratta da suo marito.
“Rich ci ha presentato la sua nuova ragazza, non sapevo che avrebbe portato qualcuno”, pensa Jean con disappunto e amarezza, dietro i sorrisi, salendo in barca.
E analogamente Maren pensa, quando il suo vulcano trema per troppa sopportazione: “Nessuno può dire con certezza, come reagirà quando la rabbia s’impossessa del corpo e della mente”.
In entrambi i casi l’isolamento, e l’impossibilità di salvezza, o di allontanarsi dalle penose situazioni, è dato dall’acqua: acqua che circonda la piccola barca del presente, acqua che circonda la casa sulla minuscola isola del passato.
Acqua a cui K. Bigelow torna dopo averla celebrata in Point Break, e che come lì è vita (il cibo per i pescatori) ma anche prigione e infine teatro di tragedia.
Ecco perché, giustamente, il titolo originale è The Weight of Water, il PESO dell’acqua, che può indicare quanta importanza l’acqua abbia in queste storie, ma anche la ‘pressione’ esercitata dall’acqua, in analogia con le pressioni a cui sono sottoposte le protagoniste nelle rispettive situazioni; mentre poco sensato è tradurre il titolo insistendo sul mistero.
L’acqua ‘pesa’, in questo caso, isolando insieme le persone sbagliate in un luogo ristretto, e la pressione a cui sono sottoposte porta ad esasperare gli animi.
Aggiungerei che l’isolamento di per sé non sarebbe così dannoso, se insieme, a stretto contatto, ci fossero sempre e solo le persone giuste, quelle che vorremmo davvero con noi.
Se solo si potesse sempre scegliere!
Il film è girato benissimo, i passaggi fra passato e presente sono da manuale, così come i flashback; la fotografia e i paesaggi sono splendidi, magnifiche le riprese degli elementi naturali, mare vento onde rocce, che incombono su tutto.
Mi sono piaciuti particolarmente gli abiti e gli ornamenti indossati da Maren: per quanto lei e John siano tutt’altro che ricchi, e lei fatichi pesantemente da mane a sera, e in un luogo isolato, non si può non notare con quanta dignitosa cura e gusto estetico sia sempre abbigliata.
La storia del presente sembra un po’ irrisolta, meno ‘raccontata’, ma il fascino del film è anche nei contrasti tra il racconto del passato, che ha la natura di un thriller-mystery, ed è narrato con precisione in ogni dettaglio in modo che alla fine nulla rimanga oscuro per lo spettatore, e il racconto presente che è molto ‘allusivo’, con omissioni e silenzi carichi di significato, e che rimane ‘sospeso’ e con poche spiegazioni.
Tutti i protagonisti del presente non parlano ‘davvero’: dicono frasi di circostanza, fanno citazioni letterarie, si scambiano sguardi e gesti che certo non risolvono i loro rapporti, pur avendo tante cose dentro che affliggono ciascuno; il migliore è Rich, che è quello più genuino, capace anche di lanciare qualche sincero e serio rimprovero al fratello maggiore, narciso ed egoista.
Jean, perdendosi a rovistare nell’antica storia degli omicidi sull’isola, perde di vista la salvezza della sua propria situazione presente; per ignavia cerca di reprimere i suoi disagi e guardare altrove, come gli altri evita di parlarne, anche se soffre non lotta e non reagisce; anche se nell’intento iniziale voleva che quel fine settimana fosse ‘benefico’, in definitiva perde l’ultima occasione.
E questo è forse più misterioso del delitto di Smuttynose.
Titolo originale : The Weight of Water
Regia Kathryn Bigelow
Maren Hontvedt: Sarah Polley
Ciarán Hinds: Luis Wagner
Jean: Catherine McCormack
Thomas: Sean Penn
Rich: Josh Lucas
Adaline: Elisabeth Hurley
USA/Francia/Canada
Anno 2000
Durata 113 min
Colore / Sonoro
Genere: drammatico, mystery, thriller
Sceneggiatura: Alice Arlen
Fotografia: Adrian Biddle
Scenografia: Karl Juliusson
Costumi: Marit Allen
Musica: David Hirschfelder