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Il mistero dell’orso marsicano ucciso come un boss ai Quartieri Spagnoli

Creato il 08 aprile 2015 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

Quanto affascinanti sono le contraddizioni? Il centro di Napoli è uno di quei posti in cui le diversità esplodono fondendosi e confondendosi, e i Quartieri Spagnoli ne sono forse la massima espressione. A differenza che in quasi tutte le parti d’Italia, il centro storico partenopeo ospita quella che altrove è la popolazione che abita la periferia e, tuttavia, basta scendere un solo vicolo (il termine “scendere” non è affatto casuale) per ritrovarsi nella parte più ricca della città.

Chi mai ha percorso le minuscole stradine del centro, così ingombre di persone e cose, non può comprendere il carico di umanità che ingloba le strade che quasi spariscono sotto l’ammucchiarsi delle sedie lasciate fuori dai bassi, dei venditori che si prendono pezzi di marciapiede, dei motorini che sfrecciano veloci e impavidi. Confesso di essere una cattivissima guidatrice ma, a prescindere da questo, la sola idea di avventurarmi con un’automobile in quei vicoli mi getta nel panico. Ricordo un viaggio a Cordoba alla ricerca di Calle del panuelo e la mia espressione delusa. “Noi a Napoli abbiamo strade più strette e ci passano i motorini”,  pensai. E immaginare che lì, in questo tornado multiforme, in una delle sue stradine principali, ossimoro realistico, possa essere steso, pancia all’aria, un orso marsicano morto ammazzato finisce per essere quasi plausibile tanto è incredibile.

Questa la premessa alla nuova fatica letteraria di Antonio Menna, giornalista, scrittore, napoletano, blogger che con Guanda ha partorito un noir dal titolo irresistibile: Il mistero dell’orso marsicano ucciso come un boss ai Quartieri Spagnoli. A ritrovare il cadavere, o la carcassa, è il protagonista del libro, e voce narrante, Tony Perduto. Malato d’insonnia, Tony, attraversa spesso i vicoli dei Quartieri quando la tempesta della vita di quei luoghi è in  pausa, in orari che nemmeno i panettieri osano vivere, scende le strade rincorrendo i fili delle nevrosi di una vita lavorativamente e sentimentalmente precaria. Eh già, perché Tony Perduto è un giornalista freelance, che in realtà significa collaboratore non fisso e pagato poco per scrivere di quel che pare al caporedattore. Fortuna vuole che sia lui a imbattersi nello scoop peloso, di cui gli sarà chiesto di scrivere sul giornale della città, a patto però di avere qualcosa in più degli altri da raccontare. Non basta un enorme animale morto, ci vuole di più. Non è sufficiente quindi che un orso stia disteso privo di vita in mezzo alla strada a fare una notizia, i social hanno infatti battuto in tempismo la carta che necessita di strillare più forte per imporsi sulle velocissime immagini di instagram, facebook, twitter e non ne conosco altri ma di sicuro ci saranno. Tony si mette in moto per i suoi quindici minuti da collaboratore ben pagato e forse in prima pagina e, conoscendo una pentita del giornalismo che è sua amica, suo amore frustrato, sua ex collega, che lavora al Policlinico, Marinella, riesce ad avere in anteprima una notizia bomba: l’orso è stato giustiziato.

La notizia lo catapulta in prima pagina, lo rende una fonte tanto per i carabinieri, arrabbiati per la grana, che per la procura. Ma si tratta solo di un momento. Viene infatti pronunciata la parola camorra che invece di far esplodere le indagini le acquieta. Era un avvertimento, tutto a posto, niente di strano, sembrano suggerire dalla procura. Perché “se si tratta di camorra non c’è nulla di cui preoccuparsi” è il paradosso.

Ma Tony non riesce a fermarsi, non riesce in nessun senso, non vuole cambiare lavoro nonostante le pressioni della madre, non riesce a dichiararsi a Marinella, non riesce a lasciar perdere la storia nonostante dal giornale abbiano deciso di far intervenire i grandi a chiudere la notizia ché il bambino freelance aveva già avuto la possibilità di pazziare col giocattolo.

La storia a questo punto si infittisce, le anime dei quartieri, la vecchietta che si sforza di parlare in italiano, il suo dirimpettaio di basso innamorato, lo straniero veterinario che porta le buste della spesa dal nome italianizzato in Aniello , la bella sconosciuta dagli occhi azzurri che condivide  con lui le strade deserte delle prime ore del mattino e tutti gli altri come un coro scandiscono insieme al protagonista le vicende che si ingarbugliano si accavallano alla ricerca del colpevole di quell’assassinio sui generis. Possibile che nessuno abbia visto e sappia niente? L’indagine di Tony lo porta allo zoo decadente di Napoli, al circo e nel sottosuolo mentre la matassa dapprima ingarbugliata, come lo sono i vicoli sotterranei di Napoli e che sono una vera e propria città sotto la città, si dipana proprio come il sottuosuolo si manifesta quasi semplice a chi lo sa percorrere.

La scrittura lineare è impreziosita dall’uso di un linguaggio dialettale mai sovrabbondante e che, pur caratterizzando la scrittura, non la rende aliena a chi partenopeo non è: come una pennellata di colore su una superficie noir.

L’incipit è originale e lascia godere di una storia che è tanto surreale quanto possibile finendo poi per addentrarsi nella descrizione di fenomeni realissimi: il precariato, la camorra, la decadenza della classe più avvantaggiata che si perde tra feste e apparenza. La lettura ne esce rafforzata, come se posizionare non sullo sfondo ma a lato della storia la vera immagine delle cose accanto la parte più spiccatamente investigativa riuscisse a lasciare il passo alla descrizione di questi fenomeni quando serve e a rifarsi avanti quando necessario. Non ne ho apprezzato il finale, un tocco di buonismo me ne ha improvvisamente resa la dimensione favolistica completamente assente fino a quel momento. Come se qualcuno mi avesse improvvisamente urlato nelle orecchie “guarda che è solo un libro”. Avrei preferito non lo facessero.

Nel complesso si tratta di un libro ottimamente riuscito che mi ha fatto intravedere la possibilità di non uno ma più seguiti, Tony Perduto è infatti un personaggio irresistibile al quale non si può fare a meno di voler bene e di tifare per lui, un Perduto perdente che è lo specchio di una generazione di esseri umani che lavorano barcamenandosi tra mille impegni per sopravvivere.

Chissà mai che non possa esserci un ciclo di racconti con poi il lieto fine che, sia chiaro, non è la storia d’amore che dal platonico si trascina in un letto ma un bel posto fisso al giornale, ferie pagate comprese.


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