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Si narra che un tempo, Posìdone si adirò contro il dio fluviale Inaco, figlio di Oceano e di Teti, e, nel suo sdegno, inaridì tutta l'Argolide, dove scorreva appunto il fiume Inaco. Il re di Argo, Dànao, un giorno, fu dunque costretto a mandare le sue figlie, che erano ben cinquanta, in cerca di acqua, e le ragazze, ognuna con una brocca, si sparsero per il paese.
Una di esse, Amimone, mentre vagava cercando invano una fonte e, dedicandosi alla caccia per distrarsi, scagliò un giorno una freccia contro un cervo, ma, per errore, colse invece un satiro che se ne stava dormendo tranquillo sotto un albero. La piccola divinità boschereccia balzò su piena di furia e subito si mise a correre verso Amimone, con i suoi agili piedi di capra, per dare alla fanciulla una buona lezione. Ma Amimone non stette certo ad aspettarlo e fuggì anche lei, più veloce che poteva.
Il satiro, tuttavia, era molto più svelto e già stava per raggiungerla quando la fanciuilla invocò Posidone, il quale, in fondo, aveva il dovere di salvarla perchè proprio lui, con la sua malaugurata siccità, l'aveva messa in quel guaio. E Posidone venne, infatti, a darle aiuto, mise in fuga il suo inseguitore e, per di più, con un colpo del suo tridente fece scaturire dalla roccia una fontana: fu la famosa fontana di Lerna.
Poichè Amimone era molto bella, Posidone pensò poi di farne una delle sue spose mortali, ed ebbe da lei, Nauplio, un ardito navigatore il quale però aveva, come tanti altri figli del dio, un'indole malvagia. Il suo divertimento preferito era quello di accendere fuochi sulle scogliere per far credere ai naviganti che fossero fari indicatori di porti sicuri, e portarli così a naufragare.
Andò però a finire che, una notte in cui era lui stesso a navigare, sorpreso da una tempesta, si diresse verso un fuoco lontano, sicuro di raggiungere un porto. Si trattava, invece, di uno dei suoi falsi fuochi, rimasto acceso perchè si era trasmesso a un bosco vicino, e lo sciagurato andò a infrangersi sugli scogli con la sua nave.
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