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Il mito di Beatrice Cenci al Teatro San Giuseppe di Torino

Creato il 06 aprile 2010 da Robertoerre

Cronaca di una tragedia. Beatrice Cenci: il mito

recital di Carlo Simoni

di Carlo Simoni e Roberto Rinaldi

giovedì 8 aprile ore 21,

Teatro del Collegio San Giuseppe

via Andrea Doria 18

Torino

 

 

 

 

Ritratto di Beatrice Cenci dipinto da Guido Reni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il Lions Club Rivoli Castello di Torino, in collaborazione con il Lions Club Rivoli Host, Lions Club Torino Crocetta Duca d’Aosta , Leo Club Rivoli, Patronesse Croce Verde Rivoli, presenta “Disagio al Femminile”, un' iniziativa dedicata alle donne in difficoltà sul territorio. Con l'occasione va in scena in prima nazionale un recital di Carlo Simoni, (primo attore del Teatro Stabile di Bolzano) scritto da Roberto Rinaldi e Carlo Simoni, dedicato ad una storia dolorosa e tragica, avvenuta alla fine del 1500 a Roma. Beatrice Cenci, una giovane di soli 16 anni condannata a morte per aver ucciso il padre che le infliggeva violenza e stupro.  L'iniziativa curata dal Lions Clubs del Distretto 108 IA1, vuole sensibilizzare la società sul dilagante fenomeno della violenza sulle donne, intesa sia come violenza fisica sia come violenza sotto altre forme. Nonostante la recente introduzione di norme opportunamente più severe, i casi di violenza, i soprusi e le intimidazioni sono in aumento. In Italia si calcola che 7 milioni di donne siano vittime silenziose, o per paura o per vergogna, di abusi o violenza. Il recital va in scena giovedì 8 aprile alle 21, al Teatro del Collegio San Giuseppe di via Andrea Doria 18. Il testo di “Cronaca di una tragedia. Beatrice Cenci: il mito, è nato in occasione dell'esposizione del ritratto di Beatrice Cenci dipinto da Guido Reni, alla mostra “Respiro Barocco. Un viaggio nella Roma del '500, curata dall'assessorato alla cultura della Provincia di Bolzano, in collaborazione con La Pinacoteca Nazionale di Palazzo Barberini, (sede in cui è conservato il capolavoro pittorico).

Per informazioni e prenotazioni biglietti: Carolina Pettiti, 335 6245923 – Giovanna Sereni 347 4195576

L'esecuzione di Beatrice Cenci, della matrigna e del fratello Giacomo avvenne l'11 settembre nell'anno del Signore 1599, sotto papa Clemente VIII Aldobrandini, nella piazza di Castel S'Antangelo a Roma. Le due donne vennero decapitate con la mannaia, mentre Giacomo fu straziato con ferri roventi e poi squartato. Il fratello minore Bernardo di soli 15 anni venne graziato ma obbligato ad assistere all'esecuzione dei suoi famigliari. Una sentenza di morte voluta dal papa per punire l'omicidio del padre Francesco Cenci, uomo di indole violenta, arrogante e depravato, più volte incarcerato e processato per delitti infamanti. La figlia Beatrice subiva da lui ogni tipo di abusi, costretta alla fame, e segregata nel castello di Petrella a Rieti. La disperazione della sfortunata ragazza fece maturare in lei, nella matrigna e nel fratello Giacomo, la decisione di uccidere il padre. Il suo cadavere fu trovato la notte del 10 settembre 1598. Si pensò in un primo momento ad una disgrazia accidentale, ma alcuni indizi crearono il sospetto di omicidio e le indagini portarono all'arresto dei Cenci e dei sicari, che sotto tortura confessarono il delitto. Nel processo in cui tutta la città fu coinvolta, nonostante l'appassionata difesa dell'avvocato Prospero Farinacci, il papa non concesse la grazia: la loro condanna a morte doveva essere d'esempio come monito al popolo e questo gli consentì di confiscare i beni a una delle famiglie più ricche di Roma. Le cronache raccontano che tra la folla che aveva assistito all'esecuzione ci fosse anche un giovane pittore lombardo. Il suo nome era Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. In quell'epoca le decapitazioni erano all'ordine del giorno. Che la presenza dell'artista sia accertata o no, quell'esecuzione doveva lasciare comunque un'impressione profonda nel grande pittore, che poi la tradusse nel dipinto:” Giuditta che decapita Oloferne”, di violento e drammatico realismo, soggetto ripreso anche da Artemisia Gentileschi (di cui nel “Barocco napoletano” è stata esposta la sua opera). Il corpo di Beatrice, come chiesto nel testamento, fu sepolto sotto l'altare della chiesa di San Pietro in Montorio in Roma, e la sua testa posata su un piatto d'argento. Per il popolo era diventata una martire da venerare. Iniziava così il mito. Si diffonderà in tutta Europa, con la creazione di una inevitabile commistione tra il sublime e il macabro. La storia dei Cenci suscita enorme interesse tra i letterati e la cultura del '700. Il poeta Shelley e lo scrittore Stendhal saranno tra i primi a scrivere su di lei, insieme a Dumas, fino ad arrivare in epoca contemporanea con il teatro di Artaud, e un dramma di Moravia. La figura immortale di Beatrice resta fissata indelebile sulla tela di Guido Reni (esposta nell'ambito di Respiro Barocco. Un viaggio nella Roma del Seicento, i capolavori di Palazzo Barberini al Centro Trevi di Bolzano fino al 12 dicembre ); un ritratto definito: “il quadro più triste che sia mai stato dipinto, o concepito, è un' “imago mortis”, un'immagine che evoca non solo immensa profondità e dolore, ma anche un senso di morte...”

Roberto Rinaldi

liberamente ispirato da i “Delitti celebri” di A. Dumas (Sellerio editore); “Cronache italiane” di Stendhal (Mondadori); “Cenci” di A. Artaud (Enaudi); “Beatrice Cenci” di Moravia (.Botteghe Oscure) ; “Cenci la storia e il mito” a cura di Mario Bevilaqua ed Elisabetta Mori. (per gentile concessione dell'editore Viella Roma); “Il gioco serio dell'arte”a cura di Massimiliano Finazzer Flory (Bur editore), “Beatrice Cenci di Moravia” di Serena Perini (Edizioni dell'Orso).

 

 


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