Versi frenetici, versi di necessità, una raccolta di poesie che rammentano al lettore l’esistenza di un “Paradiso perduto” cui anelare sempre di più. In momenti di crisi, infatti, il poeta si fa leader di generazioni che cercano una rinascita: “a ben vedere, questa silloge ci invita ad un riscatto, ci scuote. Il poeta è in rivolta. Noi dovremmo esserlo con lui. E finché egli troverà parole, avremo speranza” (dalla prefazione di Matilde Iaccarino). Rammentare la bellezza della vita e la necessità di sorprendersi del quotidiano, questi sono gli obiettivi che l’autrice Carla de Falco tenta di raggiungere con questa raccolta, carica della forza emotiva di chi vive questo momento e in questo mondo, ma che riconosce la voce del vento e le note del mare. Immancabile, infatti, il mare del sud, presente in ogni raccolta dell’autrice, come fosse una voce ancestrale che mai muta il suo tono e la sua melodia rassicurante. “Il poeta non rassicura” scrive la Iaccarino, ma necessita di conforto e lo vive nell’elemento naturale. La de Falco inizia quindi un percorso di incoraggiamento, partendo dall’immagine di una fenice per poi riconoscere la necessità di generare letteratura; il poeta si fa vittima del mondo e riconosce, per usare le parole di Italo Calvino, “chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno” facendolo sopravvivere a lungo. La voce del girasole ci ammonisce di questo e ci consola donando vigore ad un animo amareggiato. Ed è nella “gabbia” del quotidiano frenetico agire che l’uomo combatte per assaporare la luce un’altra volta. Una poesia, quella di Carla, sempre passionale e trascinante, che ci rende tutti solidali, lettori e scrittori, nel cammino affannoso alla riconquista e scoperta della bellezza.
abracadabra
ABRACADABRA
regalami un libro, un libro di fiaba…
che racconti di terre violate all’alba
da dita in piena oltre argini maldestri
e poi la nera rabbia degli onesti
e la mesta arroganza degli scaltri.
ABRACADABRA
sia per me valigia degli appunti
con dentro la fiaba nera su un destino
che si decise in stanze assai lontane
e quella onirica su un assassino
che ascoltava nel vento il suo rimpianto
e il duro morso di un vasto mare in pianto.
vorrei che raccontasse poi l’orrore
di uccellini catturati e fatti ciechi
per ottenerne un canto più sensuale
e delle principesse di stagnola
incatenate e perse nel fluire
del vizio abituale della strada.
una pagina vorrei che raccontasse
della mia emigrazione provvisoria
sempre legata al remo di un ulisse
che vive nelle mie fottute ansie
e poi la chiusa, la favola finale
che narrasse una storia assai comune
di pinocchi, addormentate e pollicini
tutti in cammino sul passo del mio tempo
che è golgota di giusti e burattini.