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Il momento prima di tornare. Appunti degli ultimi giorni di viaggio

Creato il 14 dicembre 2015 da Paola Annoni @scusateiovado
Il momento prima di tornare. Appunti degli ultimi giorni di viaggioDomenica 6 dicembre, notte. Tongariro NP.

Sono le 2:30 di notte, e non riesco a dormire perché batto i denti e non riesco a scaldarmi

Mi sembra inconcepibile che fino a due giorni fa ero in maglietta e adesso, con tutti i vestiti addosso, muoio di freddo in una stanza così brutta piccola e di cartone che non ci si crede.

20€ a testa a notte, inconcepibile. Sono vestita con tutto quello che ho nello zaino, Gianni dorme e a me scappa solo da ridere.

Sono felice.

Gli ultimi giorni di viaggio sono sempre così, un po' più felici, un po' più intensi degli altri: cerchi di tenerti stretto tra le mani qualche momento in più, resti fuori più a lungo, respiri più a fondo.

Stasera abbiamo mangiato un panino in un Burger King attaccato ad una stazione di servizio: l'unica cosa aperta a Turangi dopo le 7 di sera in una domenica di dicembre.

Il momento prima di tornare. Appunti degli ultimi giorni di viaggio

CI siamo fatti una foto ridendo. Gianni è rimasto chiuso dentro la stazione di servizio perchè la signora doveva chiudere. Non l'ha sbattuto fuori, l'ha chiuso dentro.

Piove, il tempo fa schifo, rischia di saltare tutto e noi ci mettiamo la cuffia da neve per andare nel bagno di questo posto orrendo.

I paesaggi non sono mai abbastanza, le fotografie sono sempre un pallido riflesso di quello che abbiamo dentro.

Gli ultimi giorni li affronti sempre così, con entusiasmo e tristezza.

Domenica 6 dicembre, Tongariro NP.

Al Tongariro è andata male. Ok, doveva essere una roba spettacolare, se hanno girato le scene del Signore degli Anelli ambientate a Mordor un motivo ci sarà. Era da 5 settimane che mi stavo preparando. Psicologicamente più che altro, perchè il trekking qui era una cosa seria: una camminata al freddo lunga tutto il giorno.

Ci siamo alzati all'alba, siamo usciti di corsa, siamo corsi alla base del trekking: non si vedeva neanche la montagna. Niente, nulla. Nebbia come quella che si vede in Val Padana in uno di quei giorni di novembre che ti ricordano lucidamente dove sei piazzato sulla mappa.

Abbiamo aspettato una mezz'oretta per vedere se si diradava, ci siamo addormentati seduti in macchina con il motore acceso.

Il momento prima di tornare. Appunti degli ultimi giorni di viaggio

Il che la dice lunga sul nostro stato di stanchezza.

Dopo il divieto dei ranger del visitor centre ci siamo guardati in faccia sul da farsi. RIpartire? Buttare nel cestino i soldi della costosissima notte nello schifosissimo "campeggialbergo"? Aspettare nei dintori e farno un pezzetto appena si fosse diradata la nebbia.

Siamo andati a Ohakune, la città delle carote.

Cioè, lì non c'è proprio nulla, a parte qualche posticino carino e una carota gigante, degna dei (poco amati) cugini australiani che hanno un po' la fissa di ste cose giganti.

Non abbiamo fatto praticamente nulla tutto il giorno, ci siamo goduti la wifi gratuita, abbiamo mangiato in un posto delizioso chiamato Eat, guardato le vetrine di negozi chiusi.

Abbiamo riso perchè Turangi era più brutta e Ohakune ci sembrava Parigi al confronto.

I vulcani che popolano il National Park (perchè il Tongariro continuiamo a trattarlo da montagna ma sono vulcani) non riuscivamo nemmeno a capire da che parte fossero. Nulla, nebbia.

E allora ci siamo accorti che averlo visto illuminato dalla luce del tramonto la sera che siamo arrivati, laggiù, splendido e innevato, è stata una fortuna senza pari.

E il view point in cui ci siamo fermati prima di arrivare a Turangi è stato il meglio che ci potesse capitare.

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E' sempre questione di punti di vista, di giorni di viaggio, di take it easy che alla fine del viaggio diventano un modo di vivere che troppo spesso non riusciamo a riportare nella realtà quotidiana.

E una carota gigante diventa un highlits memorabile.

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lunedì 7 dicembre, Rotorua.

Siamo a Rotorua, l'albergo ha le lenzuola (e già questo mi sembra un plus notevole rispetto ai giorni precedenti), la città è un gioiellino, siamo stati tra i maori in un villaggio in cui ancora 20 famiglie vivono. Ti dava l'idea di essere un posto un po' scassato, ma autentico. Abbiamo mangiato indiano, bevuto vino che ci siamo portati dietro dall'isola del sud, fatto il bagno nella piscina calda dell'hotel grossa come un letto king size, ma per noi è meglio delle terme di Merano.

Le lenzuola mi sembrano le migliori di sempre: pulite, morbide. Ci sono.

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Ormai quello del Tongariro rimarrà come barzelletta e come confronto per ogni hotel di merda: quello di Agra senza finestra e con la chiazza sul muro ormai si sta un po' sbiadendo nei ricordi e nella poca passione che ho lasciato in quel viaggio.

Questo viaggio credo me lo ricorderò vividamente per molto tempo.

Se chiudo gli occhi vedo intense chiazze di colore: l'Australia è il giallo, la Nuova Zelanda il verde più intenso.

C'è freddino e dovrebbe essere estate, abbiamo saltato delle tappe per colpa della pioggia torrenziale e maledetta, per andar al risparmio ci siamo trovati in ostelli senza riscaldamento e con odore di scarpone da sci dopo una giornata sulla neve, ho mangiato insalate nella busta, bevuto solo acqua del rubinetto.

Eppure niente è andato storto.

Penso a questi ultimi giorni, a Wellington e all'ostello davanti al cimitero col gatto che mi dormiva sul letto.

Niente, proprio niente è andato storto.

E' così che deve essere un viaggio, così che deve essere preso: con avventura e una buona dose di ironia. Mi sono lamentata abbastanza in Australia.

L'Australia mi sembra lontanissima, quasi metabolizzata. Quasi parte di me.

All'alba siamo stati a vedere Redwoods, la foresta di sequoie a due passi da Rotorua. E' imponente e le sequoie altissime, degne di quelle americane. In questo tipo di boschi mi piace camminare per due motivi: il profumo, e il silenzio dei miei passi. Qui il profumo lasciava un po' a desiderare (c'è sempre sta puzzetta di uova marce dovuta al sottosuolo), ma il terreno è morbidissimo e sembra sempre di camminare su un gonfiabile. Forse evoca qualcosa, forse mi si accende un campanello legato a quelle camminate fatte nei boschi da piccola per cercare castagne. So solo che mi piace.

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CI siamo fermati per un tea e uno scone al Buried Village of Te Wairoa, una specie di Pompei ancora scavata, al visitor center ti accolgono in abiti d'epoca e le focaccine inglesi sono buonissime.

Mentre spalmavo la panna sullo scone sono scoppiata a piangere come una scema.

E' stato uno di quei momenti in cui prendi coscienza di tutto, ti senti così fortunata da provare quasi in imbarazzo, guardi l'amore della tua vita che sorride, bevi un the caldo che potrebbe farti passare qualsiasi cosa. Sono in Nuova Zelanda, ho alle spalle un mese di viaggio che sogno da sempre.

Uno di qui momenti perfetti.

Uno di quei momenti in cui sei certo che la tua confort zone è il viaggio.

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Martedì 8 dicembre, Auckand.

Auckland è molto carina: di primo acchito ti dà brutte vibrazioni perché è abbastanza incasinata (come ogni metropoli che si rispetti) e ha un'aria freddina. Poi molli la macchina, passeggi per le vie del centro che spesso nascondono murales o angoli di bellezza inaspettata.

Il centro è un'insieme di vie piene di negozi, la zona del porto sembra uscita da una rivista di design cittadino.

Il tramonto è stato straordinario, l'ultimo ennesimo regalo di questa terra fantastica.

Stasera c'è stato freddo, il clima qui è balordo: nell'arco di qualche ora c'è stato sole, vento fortissimo, pioggia, nebbia. Tutte le stagioni in un'ora. E io ho stretto le mani di Gianni un po' più forte, lui ha scattato una quantità di foto sproporzionata rispetto al solito cercando di immagazzinare più momenti possibili, perchè è così che ti comporti quando il tempo sta per scadere, diventi ingordo, cerchi di trattenere anche i respiri per non perderti nulla, per poterti attaccare ancora a quei momenti e darti la sensazione che quel viaggio possa durare un pochino più a lungo, anche se hai già in tasca il biglietto di ritorno con una data precisa.

Domani. in 30 ore saremo a casa. Sembra incredibile essere così lontano da casa, più lontano di così non posso andare.

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11 dicembre.Casa.

Ho una sensazione addosso che non mi dimenticherò mai: dopo il mio primo lungo viaggio di 50 giorni, la prima mattina che mi sono svegliata nel mio letto è stato stranissimo.

Ho aperto gli occhi, mi sono guardata in giro con lo sguardo stranito che ho sempre in viaggio, quando hai quell'attimo di stordimento in cui ti chiedi "dove cavolo sono oggi", ho allungato il braccio sotto il cuscino che aveva il mio odore da sempre.

In quell'istante lo sai che sei a casa. Ripercorri velocemente i giorni e... Sei a casa.

Una parte di me aveva voglia di tornare, arriva Natale e io a volte ho bisogno di stare tra le mie cose, con la mia famiglia, le mie amiche.

L'altra parte di me si era inserita perfettamente in quel meccanismo di movimento costante, come un allegro metronomo che scandiva le giornate tra una meraviglia e l'altra, passando per un letto nuovo ogni notte, la ricerca di qualche posto carino in cui mangiare, disfa e riassembla lo zaino, conta le magliette pulite, bevi il caffè in bicchieri di carta.

In viaggio ho sempre una fase in cui voglio tornare a casa: sento proprio il bisogno dei miei spazi, del silenzio. Ho bisogno di poter scegliere i vestiti in base al clima e di potermi davvero mettere un maglione adatto al clima senza dovermi arrangiare con quello che ho: e non sempre ci azzecchi.

Ti ritrovi a indossare una canottiera, una maglietta, una seconda maglietta, un maglioncino, una maglia di Gianni e la giacca. Perchè 5 gradi partendo per un posto in cui è giugno, non te li aspettavi.

Il primo giorno in cui sono arrivata a casa di mia mamma ho fatto la pipì senza sedermi. Mi sono chiesta se ero impazzita e mi è venuto da ridere. A volte ho bisogno di potermi sedere in un bagno senza aver paura di beccarmi le piattole.

Sono piccolezze, bisogni che si sentono solo quando sei stanca.

Poi scòllino, e potrei rimanere in viaggio per sempre.

Non mi manca il cibo, l'amore per le persone a casa cambia e non sento l'assenza.

E il cambio di ritmo lo senti quando sei a casa, perchè il ritmo morbido che si abbina al battito del tuo cuore è quello del viaggio, è quello del passo su strade nuove con scarpe vecchie.

Sono a casa, ho nostalgia di queste due nuove terre che sono state aspettative mai deluse, bellezza piena, avventura. Mi sono innamorata degli antipodi, già sogno di tornarci e di sentire ancora il verde e il giallo sulla pelle e negli occhi.

Mi sono innamorata ancora una volta di una cosa. Il viaggio.


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