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"Il Mondo come Volontà" di Arthur Schopenhauer

Da Risveglioedizioni

Mondo come Volontà

La volontà come cosa in sé è affatto diversa dal suo fenomeno, e pienamente libera da tutte le forme di questo, nelle quali appunto, ella passa all'atto del suo manifestarsi; sì che codeste forme riguardano la sua oggettività, ma le sono sostanzialmente estranee...
La stessa forma più generale d'ogni rappresentazione - quella dell'oggetto per un soggetto - non la tocca; ed ancor meno le forme subordinate alla prima, le quali hanno collettivamente la loro espressione comune nel principio di ragione. Ad esse appartengono, com'è noto, anche tempo e spazio, e per conseguenza pur la pluralità, che solo mediante il tempo e lo spazio esiste e diventa possibile. Da quest'ultimo punto di vista chiamerò tempo e spazio - con espressione tolta all'antica scolastica propriamente detta - il principium individuationis: il che prego di notare una volta per sempre. Imperocché, per mezzo del tempo e dello spazio ciò che è tutt'uno nell'essenza e nel concetto apparisce invece diverso, come pluralità giustapposta e succedentesi; tempo e spazio sono quindi il principium individuationis, l'oggetto di tante disquisizioni e contese degli scolastici, le quali si trovano raccolte presso Suarez (Disp. Metaph., disp. v, sect. 3). Per le ragioni sopraddette, la volontà come cosa in sé sta fuor del dominio del principio di ragione in tutte le sue forme, ed è quindi assolutamente senza ragione, sebbene ogni sua manifestazione sia in tutto sottomessa al principio di ragione; sta fuori inoltre di ogni pluralità, sebbene le sue manifestazioni nel tempo e nello spazio siano innumerevoli. Ella è una, ma non com'è uno un oggetto, la cui unità può esser conosciuta solo in contrasto con la possibile pluralità; e nemmeno com'è uno un concetto, che è sorto dalla pluralità mediante astrazione: bensì è una in quanto sta fuori del tempo e dello spazio, fuori del principium individuationis, ossia della possibile pluralità. [...] Finora furono considerati fenomeni della volontà solo quelle modificazioni, le quali non hanno altra causa che un motivo, ossia una rappresentazione. Perciò in tutta la natura si attribuiva una volontà soltanto all'uomo, e tutt'al più agli animali; perché il conoscere, il rappresentare, come ho già notato altrove, è la genuina ed esclusiva caratteristica dell'umanità. Ma che la volontà agisca anche là dove nessuna conoscenza la guida, vediamo subito dall'istinto e dalle tendenze meccaniche degli animali. Che essi abbiano rappresentazioni e conoscenza, non è cosa che ora ci riguardi; imperocché lo scopo, al quale essi dirigono la loro azione quasi fosse un motivo conosciuto, rimane ad essi del tutto ignoto. Perciò il loro agire avviene in quel caso senza motivo, non è guidato dalla rappresentazione, e ci mostra immediatamente e chiarissimamente, che la volontà agisce anche senz'alcuna conoscenza. L'uccello di un anno non ha nessuna rappresentazione delle uova, per le quali costruisce un nido; un giovine ragno non ne ha della preda, per la quale tesse una rete; non il formicaleone della formica, a cui per la prima volta scava una fossa; la larva del cervo volante fora il legno, dove vuol compiere la sua metamorfosi; e quando essa vuol diventare un insetto mascolino, il foro è doppio di quando vuol diventare femmina, per dar posto alle corna, delle quali non ha ancor nessuna rappresentazione. In tali atti di codesti animali è pur palesemente in gioco la volontà, come nelle altre loro azioni; ma essa agisce in un'attività cieca, la quale è bensì accompagnata dalla conoscenza, ma non ne è guidata. Ora, se ci siamo persuasi che la rappresentazione, come motivo, non è punto necessaria ed essenziale condizione dell'attività del volere, conosceremo più facilmente l'effetto della volontà in casi dov'è meno appariscente. Per esempio, non attribuiremo il guscio della chiocciola ad una volontà guidata da conoscenza, ma estranea alla chiocciola stessa, come non pensiamo che la casa da noi stessi costruita sorga per effetto d'una volontà che non sia la nostra; ma questa casa e la casa della chiocciola conosceremo quali opere della volontà, oggettivantesi in entrambi i fenomeni; volontà, che opera in noi secondo motivi, e nella chiocciola ciecamente, come un impulso costruttivo rivolto al di fuori. Anche in noi la stessa volontà agisce in vari modi ciecamente: in tutte le funzioni del nostro corpo, che nessuna conoscenza guida, in tutti i suoi processi vitali e vegetativi, digestione, circolazione del sangue, secrezione, sviluppo, riproduzione. Non solo le azioni del corpo, ma il corpo medesimo è in tutto e per tutto, come abbiamo mostrato, fenomeno della volontà, volontà oggettivata, volontà concreta: tutto ciò, che in esso accade, deve quindi accadere per effetto di volontà; sebbene qui codesta volontà non sia diretta dalla conoscenza, né determinata da motivi, ma agisca ciecamente in seguito a cause che in tal caso prendono il nome di stimoli. [...] Così vediamo dappertutto nella natura contesa, battaglia, e alternanze di vittorie; ed in ciò appunto conosceremo più chiaramente d'ora innanzi l'essenziale dissidio della volontà da se medesima. Ogni grado nell'oggettivazione della materia contende all'altro la materia, lo spazio, il tempo. Senza tregua deve la permanente materia mutar di forma, mentre, seguendo il filo conduttore della causalità, fenomeni meccanici, fisici, chimici, organici, facendo avidamente ressa per venire alla luce, si strappano l'un l'altro la materia stessa - poiché ciascuno vuol rendere manifesta la propria idea. Nella natura intera si continua questa lotta; anzi, solo per essa la natura sussiste [...], essendo appunto questa lotta la rivelazione del dissidio essenziale tra la volontà e se stessa. Questa lotta universale raggiunge la più chiara evidenza nel mondo animale, che ha per proprio nutrimento il mondo vegetale; ed in cui inoltre ogni animale diventa preda e nutrimento d'un altro; ossia deve cedere la materia, in cui si rappresentava la sua idea, per la rappresentazione d'una idea diversa, potendo ogni animale conservar la propria esistenza solo col sopprimerne costantemente un'altra. In tal modo la volontà di vivere divora perennemente se stessa, ed in diversi aspetti si nutre di sé, finché da ultimo la specie umana, avendo trionfato di tutte le altre, ritiene la natura creata per proprio uso. E nondimeno questa stessa specie umana, come vedremo nel quarto libro, rivela ancora con terribile evidenza in se medesima quella lotta, quel dissidio della volontà; e diventa homo homini lupus. Intanto riconosceremo la stessa lotta, la stessa violenza egualmente nei gradi inferiori dell'oggettività della volontà. Molti insetti (particolarmente gl'icneumonidi) depongono le loro uova sulla pelle o addirittura nel corpo delle larve d'altri insetti, la cui lenta distruzione è il primo compito del vermiciattolo uscito dall'uovo. Il giovine polipo tentacolato, che si sviluppa come un ramo dal vecchio e poi se ne separa, contende già con esso, quando ancora vi aderisce, l'offertasi preda, sì che l'uno deve strapparla di bocca all'altro (Trembley, Polypod., II, p. 110 e III, p. 165). Ma il più singolare esempio del genere ci è dato dalla formica (bulldog ant) in Australia: quando la si taglia, comincia una lotta fra la parte del corpo e quella della coda; quella ghermisce questa col morso, questa si difende validamente col pungere quella. La battaglia dura di solito una mezz'ora, finché le due parti muoiono, o vengono trascinate via da altre formiche. Il fatto si ripete ogni volta. (Da una lettera di Howitt, nel "W. Journal", riportata nel "Messenger" di Galignani del 17 novembre 1855). Sulle rive del Missouri si vede talvolta una poderosa quercia avvolta, legata e stretta nel tronco e nei rami da una gigantesca vite selvatica, sì che deve inaridirsi come soffocata. Lo stesso si osserva perfino negl'infimi gradi, per esempio dove per assimilazione organica acqua e carbone si trasformano in succo vegetale, oppure vegetali e pane si trasformano in sangue, e così dovunque si abbia una secrezione animale con limitazione delle forze fisiche ad un subordinato modo d'attività. Similmente anche nella natura inorganica, là dove per esempio i cristalli nel formarsi s'incontrano, s'incrociano e si ostacolano a vicenda, sì che non possono pervenire alla pura loro forma (quasi tutte le druse sono immagine d'una tal battaglia della volontà in quel grado sì basso della sua oggettivazione); oppure quando una calamita impone al ferro la sua forza magnetica per rappresentare anche là la propria idea; o quando il galvanismo fa violenza alle affinità elettive, le più salde combinazioni dissolve, e le leggi chimiche annulla, sì che l'acido d'un sale, disgregatosi al polo negativo, deve passare al positivo senza combinarsi con gli alcali che attraversa per via, né poter fare arrossire il girasole con cui s'incontra. Ciò appare in grande nel rapporto tra corpo celeste centrale e pianeta: questo, sebbene in aperta dipendenza, resiste pur sempre, come le forze chimiche nell'organismo: dal che proviene la permanente tensione tra forza centripeta e forza centrifuga, la quale tiene in moto l'universo, ed è già di per se stessa un'espressione di quell'universale battaglia essenziale al fenomeno della volontà, della quale discorrevamo. Invero, poiché ciascun corpo dev'essere considerato come fenomeno d'una volontà, e volontà si presenta necessariamente come lotta, non può essere il riposo lo stato originario d'ogni corpo celeste conglobato in una sfera; bensì il movimento, la spinta a proceder oltre nello spazio infinito, senza posa e senza meta. [...] La lotta, da noi presa a considerare, di tutti i fenomeni fra loro, si può riconoscer perfino nella semplice materia in quanto tale, nei limiti in cui la sua essenza fu giustamente formulata da Kant come forza di repulsione e di attrazione; sì che anch'essa ha esistenza soltanto in una lotta di forze contrastanti. Se facciamo astrazione da ogni varietà chimica della materia, o risaliamo tanto lungi la catena delle cause e degli effetti da non trovar più alcuna differenza chimica, ci rimane la pura materia, il mondo conglobato in una sfera; la cui vita, ossia oggettivazione della volontà, è costituita da quella battaglia tra forza d'attrazione e di repulsione: la prima come gravità, da tutte le parti spingendo verso il centro, l'altra resistendo alla prima come impenetrabilità, sia mediante solidità sia mediante elasticità. Codesto perenne premere e resistere può esser considerato come l'oggettività della volontà nel suo infimo grado, e pur già esprimere il carattere di questa. Così vediamo dunque qui, nell'infimo grado, la volontà presentarsi come un cieco impulso, un'oscura, sorda agitazione, lungi da ogni immediata percettibilità. È il più semplice e più debole modo della sua oggettivazione. Ed ancor come cieco impulso ed inconscia aspirazione appare in tutta la natura inorganica, in tutte le forze elementari, che fisica e chimica s'occupano a conoscere, fissandone le regole, e ciascuna delle quali si presenta in milioni di fenomeni affatto simili e regolari, che non rivelano alcuna traccia di carattere individuale, ma sono semplicemente moltiplicati per mezzo del tempo e dello spazio, ossia del principium individuationis, come un'immagine viene moltiplicata dalle faccette d'un cristallo.


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