Un nuovo quasar, luminoso quanto 420mila miliardi di soli, è stato scoperto da Xue-Bing Wu, professore di astrofisica dell’Università di Pechino e dal team internazionale di astronomi che ha coordinato. A una distanza di 12,8 miliardi di anni luce, questo vero e proprio mostro cosmico, denominato SDSS J0100 + 2802, è il più brillante quasar mai scoperto nell’universo primordiale, alimentato da un buco nero di ben 12 miliardi di masse solari, il più massiccio finora noto in epoche così remote.
La scoperta, pubblicata nell’ultimo numero della rivista Nature, è stata realizzata combinando i dati raccolti dal telescopio da 2,4 metri di diametro Lijiang (LJT) nello Yunnan (Cina), il Multiple Mirror Telescope da 6,5 metri (MMT), il Large Binocular Telescope (LBT) in Arizona (USA), il Magellan Telescope dell’Osservatorio di Las Campanas in Cile e, infine, il telescopio Gemini North da 8,2 metri sul Mauna Kea, Hawaii.
La scoperta del quasar SDSS J0100 + 2802 segna un importante passo avanti nella comprensione di come questi oggetti celesti, le più potenti “centrali energetiche” dell’universo, si sono evoluti nelle prime fasi di sviluppo del cosmo, solo 900 milioni di anni dopo il Big Bang. Ovvero, in prossimità della fine di un importante evento cosmico che gli astronomi chiamano “epoca della reionizzazione”: quando cioè la radiazione prodotta dalle prime stelle ionizzò l’idrogeno neutro che permeava l’universo, rendendolo nuovamente “trasparente” alle onde elettromagnetiche.
Dalla scoperta del primo quasar, nel 1963, siamo oggi arrivati a individuare oltre 200.000 di queste potentissime sorgenti, molte situate a miliardi di anni luce da noi e circa quaranta a oltre 12,7 miliardi di anni luce. La radiazione di questi ultimi è stata emessa quando l’universo aveva meno di un miliardo di anni.
La scoperta di SDSS J0100 + 2802 è stata ottenuta grazie al metodo sviluppato da Xue-Bing Wu per selezionare efficacemente quasar ad alto redshift (quindi a grande distanza) partendo da dati fotometrici nella banda della luce visibile e nel vicino infrarosso, in particolare quelli prodotti dalla Sloan Digital Sky Survey e dal satellite Wide-Field Infrared Explorer (WISE) della NASA.
Dopo la selezione, gli astronomi hanno approfondito le loro indagini: il primo spettro ottico ottenuto il 29 dicembre 2013 dal telescopio LJT, aveva fatto subito sospettare che SDSS J0100 + 2802 fosse un quasar tra i più distanti mai osservati. Ulteriori osservazioni condotte con il MMT, LBT, il Magellan Telescope e il Gemini Telescope hanno infine confermato le caratteristiche estreme di questa sorgente: con una luminosità pari a 420.000 miliardi di volte quella del nostro Sole, questo nuovo quasar è 7 volte più luminoso di quello ad oggi più distante, la cui luce ha viaggiato per ben 13 miliardi di anni. Aggiungendo anche un’altra eccezionale proprietà, ovvero ospitare un buco nero con una massa di 12 miliardi di masse solari, SDSS J0100 + 2802 diventa il quasar più luminoso con il più massiccio buco nero tra quelli all’alba dell’universo.
«Questo quasar è davvero unico» dice Xue-Bing Wu. «Scoprire che SDSS J0100 + 2802 ha emesso la radiazione che abbiamo studiato appena 900 milioni di anni dopo il Big Bang ci ha letteralmente galvanizzato. Proprio come un faro, il più brillante tra quelli ai confini del cosmo, la sua intensa luce ci aiuterà a sondare meglio l’universo primordiale».
Il telescopio LBT in Arizona, di cui l’INAF è uno dei partner, utilizzato per studiare il quasar SDSS J0100+2802. Crediti: INAF – R. Cerisola
« “Mostruoso” è proprio l’aggettivo giusto per questo quasar da record – commenta Adriano Fontana dell’INAF, responsabile del centro italiano delle osservazioni di LBT. E pensare che finora la sua vera natura ci era sfuggita: invece di un buco nero supermassivo in piena attività, ai confini dell’universo, pensavamo che SDSS J0100 + 2802 fosse una stella alquanto vicina a noi. Ora però che sappiamo chi sia veramente, quanto smisurata sia la sua massa e la sua distanza, la sfida che abbiamo di fronte è spiegare come sia possibile trovare un oggetto tanto massiccio in un’epoca così remota. Visto che i buchi neri accrescono la propria massa attirando la materia attorno a loro, SDSS J0100 + 2802 deve infatti avere divorato l’equivalente della Grande Nube di Magellano, una galassia nana compagna della Via Lattea, in appena qualche centinaio di milioni di anni! Le prossime indagini già in programma, che coinvolgeranno anche i telescopi spaziali Hubble e Chandra, potranno aiutarci a capire meglio la natura e la storia di questo mostro cosmico».
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani