"...Troppo chimico, e chimico per troppo tempo, per sentirmi un autentico uomo di lettere; troppo distratto dal paesaggio, variopinto, tragico o strano, per sentirmi chimico in ogni fibra, [...] mi sono divertito a guardare il mondo sotto luci inconsuete, invertendo per così dire la strumentazione: a rivisitare le cose della tecnica con l'occhio del letterato, e le lettere con l'occhio del tecnico.
[...] quando un lettore si stupisce del fatto che io chimico scriva, rispondo che scrivo proprio perché sono un chimico.
La chimica è una cosa che serve a tutto. Serve a coltivarsi, serve a crescere, serve a inserirsi in qualche modo nelle cose concrete; serve a educare se stessi; io ho scelto di interessarmi di chimica che ero un bambino, avevo 14-15 anni: perché mi appassionava il parallelismo tra la formula scritta sulla carta e quello che avviene nella provetta: mi sembrava già allora qualcosa di magico e la chimica mi sembrava la chiave principale per aprire i segreti del cielo e della terra, e aver letto allora che uno spettroscopio permette di conoscere la composizione chimica di una stella, mi sembrava uno dei massimi poteri dell'uomo.
[...] Mi volevo mantenere fedele all'idea che la nobiltà dell'Uomo, acquisita in cento secoli di prove e di errori, era consistita nel farsi signore della materia e vincere la materia è comprenderla, e comprendere la materia è necessario per comprendere l'universo e noi stessi [...].
Il chimico ingaggia una scherma, una partita a due con la materia. Una cosa è molto importante in questa lotta: il chimico non può mai smarrire la lucidità della propria ragione, non può mai abbandonarsi al compiacimento dell'ipotesi elegante e non provata; deve sempre verificare ciò che scopre, qualsiasi sia la sua piccola vittoria. Questo, più di ogni altra cosa, insegna la chimica: a vigilare sempre con la ragione.
[...] noi (chimici) montiamo e smontiamo delle costruzioni molto piccole. Ci dividiamo in due rami principali, quelli che montano e quelli che smontano, e gli uni e gli altri siamo come dei ciechi con le dita sensibili [...] perché le cose che manipoliamo sono troppo piccole per essere viste, anche coi microscopi più potenti; e allora abbiamo inventato diversi trucchi intelligenti per riconoscerle senza vederle. Quelli che smontano, cioè i chimici analisti, devono essere capaci di smontare una struttura pezzo per pezzo senza danneggiarla [...]; di allineare i pezzi smontati sul bancone, sempre senza vederli, di riconoscerli uno per uno, e poi di dire in che ordine erano attaccati insieme. [...] Ma non abbiamo (ancora!) quelle pinzette che ci permetterebbero di prendere un segmento e di incollarlo nel verso giusto sul segmento già montato. Se le avessimo saremmo già riusciti a fare delle cose graziose che fin adesso le ha solo fatte il Padreterno [...]
[...] il laboratorio: ci stavamo cinque ore al giorno, era un bell'impegno. Un'esperienza straordinaria. In primo luogo perché toccavi con mano: alla lettera, ed era la prima volta che mi capitava, anche se magari ti scottavi le mani o te le tagliavi. Era un ritorno alle origini. La mano è un organo nobile, ma la scuola, tutta presa ad occuparsi del cervello, l'aveva trascurata. E poi il laboratorio era collegiale, un centro di socializzazione dove si diventava veramente amici. [...] Credo che ogni chimico conservi del laboratorio un ricordo dolce e pieno di nostalgia. Se ne usciva, ogni sera, con la sensazione di avere "imparato a fare una cosa; il che, la vita lo insegna, è diverso dall'avere "imparato una cosa".
[...] il sistema periodico di Mendeleev, che proprio in quelle settimane imparavamo laboriosamente a dipanare, era una poesia, più alta e più solenne di tutte le poesie digerite al liceo: a pensarci bene, aveva persino le rime! L'espressione è paradossale, ma la rima c'è proprio. Ogni riga termina con la stessa "sillaba", sempre composta da un alogeno più un gas raro: fluoro + neon, cloro + argon...Ma nella frase c'è di più. C'è l'eco della grande scoperta, quella che ti toglie il fiato; dell'emozione (anche estetica, anche poetica) che Mendeleev deve aver provato quando intuì che ordinando gli elementi allora noti in quel certo modo, il caos dava luogo all'ordine, l'indistinto al comprensibile [...] Ravvisare o creare una simmetria, "mettere qualcosa al posto giusto" è un'avventura mentale comune al poeta e allo scienziato.
[..] accade anche in chimica, come in architettura, che gli edifici "belli" e cioè simmetrici e semplici, siano anche i più saldi: avviene insomma per le molecole come per le cupole delle cattedrali o per le arcate dei ponti.
In questo libro ho cercato di mettere in luce la nobiltà del nostro lavoro, il suo valore educativo e formativo, in polemica con le ideologie correnti ancora oggi nel nostro paese, secondo cui l'unica via maestra per la cultura e la maturità passa per il latino, il greco e l'analisi estetica, mentre la matematica e la fisica sarebbero astruserie inutili, o utili solo come mestiere, come guadagna-pane. Fantasticavo di scrivere la saga di un atomo di carbonio, per far capire ai popoli la poesia solenne, nota solo ai chimici, della fotosintesi clorofilliana[...], volevo convogliare ai profani il sapore forte e amaro del nostro mestiere, che è poi un caso particolare, una versione più strenua, del mestiere di vivere. La chimica mi ha insegnato chiarezza e
concisione, l'abitudine a pesare le parole, la virtù della pazienza, il gusto per la concretezza.
Si possono raccontare delle storie, penso interessanti e comprensibili da tutti, anche attingendo a questa cosa misteriosa, sospetta, arida, che i non chimici vedono nella chimica.
La chimica è l'arte di separare, pesare e distinguere: sono tre esercizi utili anche a chi si accinge a descrivere fatti o a dare corpo alla propria fantasia.
Sono debitore al mio mestiere anche di ciò che fa maturo l'uomo, il successo e l'insuccesso, riuscire o non riuscire, le due esperienze della vita adulta necessarie a crescere."
Primo Levi.