di Micol Bruni
Si parla spesso di Museo e realtà museali. Al di là del contesto dove un Museo è inserito ci sono ormai dei principi di fondo dai quali non si può prescindere. Mi sembra che il dato didattico (attraverso una metodologia di apprendimento articolato) debba prevalere su aspetti precostituiti che possono piacere agli addetti ai lavori ma non ad una utenza generale, o meglio non soddisfano quel pubblico del museo che è il vero interprete e lettore del materiale storico esposto. Proprio a partire dalle stesse “didascalie” occorre una innovazione nei cosiddetti, giornalisticamente, “sottopancia” dei reperti.
Dobbiamo non trascurare il fatto che il più delle volte il visitatore è un utente distratto, a volte non preparato, a volte diffidente, a volte non alfabetizzato adeguatamente ed entra in una struttura museale perché vuole capire, rendersi conto di determinati aspetti della storia o dell’archeologia o dell’arte di un Paese e di un territorio. Quello che conta, soprattutto per questo tipo di utente, è l’approccio iniziale, ovvero è il tipo di relazione che riesce a stabilire con il primo gradino e in realtà dove mancano delle guide o dove non c’è la possibilità di seguire il percorso attraverso una guida diventa tutto meno apprendibile, anzi diventa confusionale.
Il sistema dei Musei, con la Riforma Franceschini, ormai è pianificato ma nello stesso tempo articolato e calato nelle diversità delle realtà. Oggi il pubblico del museo è eterogeneo e sommerso. Dal turista che non conosce la lingua italiana al bambino delle scuole elementari si crea una spazialità di saperi che vanno, di volta in volta, adeguati e lasciati ad una cultura di consumo la cui comprensione deve essere chiaramente facilitata.
Dobbiamo partire da un dato e di questo ne sono forte assertore (altrimenti non avrebbe senso parlare di comunicazione museale e di strumenti di relazione nei musei) il cui “valore” portante è quello che un museo deve servire l’utente. Ad un tale discorso resta legato, appunto, il messaggio mediatico.
Cosa vogliamo trovare in un Museo? Anzi, perché entriamo in un Museo? La conoscenza è il primo punto. Ma la conoscenza si trasmette. Il Museo quindi dovrebbe essere (lo è) trasmissione di saperi. Un libro che già dalle prime pagine non ci soddisfa o è incomprensibile lo mettiamo da parte tranne se per dovere di studio dobbiamo leggerlo sino all’ultimo rigo. Perciò un dato essenziale, per il non addetto ai lavori, al quale guardo sempre con attenzione in virtù del fatto che la cultura è sempre strumento di comunicazione, è il piacere. Il piacere della conoscenza che si intreccia con la curiosità di penetrare mondi e storie che non si conoscono.
La curiosità e il piacere, oltre al bisogno di sapere, sono le due spinte propedeutiche che toccano le corde psicologiche che ci inducono ad approfondire. L’approfondimento su un determinato argomento o su una pagina della civiltà viene in un secondo momento e non può essere dato solo dalla visita ad un museo. Ed è qui che scattano altri strumenti che vanno verso la direzione di una maggiore scientificità.
Insomma noi dobbiamo comunicare, come nella Riforma Franceschini, e dobbiamo illustrare ad un pubblico che ha poco tempo per capire, ad un pubblico che inserisce una visita ad un museo tra i tanti altri appuntamenti del quotidiano, ad un pubblico che va sensibilizzato e invogliato a ritornare. Soltanto se un visitatore ritorna per approfondire, soltanto se riusciamo ad imprimere dei tasselli precisi, soltanto se quella curiosità diventa piacere nell’aver catturato una storia o un frammento di storia, soltanto se riusciamo a meravigliarlo (la meraviglia è un concetto forte che si innesca nel visitatore) il ruolo del museo diventa riferimento di cultura.
Magazine Talenti
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