L'immagine convenzionale del Natale è quella della festa e dei buoni sentimenti.
Per qualcuno, invece, rischia di essere il periodo peggiore dell'anno. E' stato dimostrato che chi soffre di solitudine e di depressione sta male durante queste giornate, perché il suo disagio è alimentato dai persistenti richiami a una sorta di gioiosità collettiva.
I lutti, le malattie, le relazioni difficili, i problemi economici non vanno in vacanza a Natale. No, non è il momento di una felicità per tutti e a buon mercato. E allora che cosa festeggiare, in realtà?
Mi ha colpito in questi giorni un'immagine del salmo 56, versetto 9:
"nel tuo otre raccogli le mie lacrime: non sono forse scritte nel tuo libro?"
Annota Gianfranco Ravasi: "Le lacrime degli uomini sono agli occhi di Dio realtà preziosa come l'acqua il vino, il latte, le sostanze vitali che il beduino conserva nell'otre. Dio non lascia cadere nel nulla il dolore dell'uomo, raccoglie le gocce del suo pianto quasi in uno scrigno, come se fossero perle".
Possiamo essere feriti, schiacciati, colpiti, ma non siamo degli abbandonati. E' questa speranza che il Natale vuole ribadire, non una consolazione immediata e a portata di mano. Dio conosce tutto del nostro dolore e non lo dimentica, nessun attimo cadrà nel vuoto, ma infine approderà a un esito positivo.
Si può davvero credere questo? Posso porre la domanda, ma non pretendo di dare la risposta. E' la ricerca, è la lotta, è il dramma della fede che salva dalla disperazione, della speranza che libera dalla paura.
Così pregava Dietrich Bonhoeffer nel 1943: "C'è buio in me, in te invece c'è luce; sono solo, ma tu non mi abbandoni; non ho coraggio, ma tu mi sei di aiuto; sono inquieto, ma in te c'è la pace; c'è amarezza in me, in te pazienza; non capisco le tue vie, ma tu sai qual è la mia strada".
(tratto da: "Sperare per tutti" di Christian Albini)