La notizia dell’assegnazione del Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo – che fu tra coloro che presero parte alla protesta di Tienanmen, ed è stato tra i firmatari e i creatori di Carta 08, il manifesto per la democrazia in Cina – è una delle scelte più importanti degli ultimi anni fatte dal comitato norvegese per l’assegnazione del premio. Lo è perché, come recita la motivazione ufficiale, Liu Xiaobo è un “simbolo della campagna per il rispetto e l’applicazione dei diritti umani fondamentali” in Cina, e come si sa la questione dei diritti umani pesa come un macigno non solo sulla storia recente di questo paese (vedi Tienanmen), ma sul presente stesso del mostro economico mondiale (basti ricordare che in Cina sono tuttora operativi i Laogai, i campi di concentramento istituiti da Mao Zedong nel 1950 sull’esempio dei Gulag sovietici, in cui a tutt’oggi uomini, donne e bambini sono costretti a svolgere lavori forzati in condizioni disumane e a vantaggio del governo cinese e delle multinazionali che producono e investono in Cina). Il Nobel a Liu Xiaobo, va chiarito, è uno schiaffo in faccia al primo mondo, quello occidentale, Italia compresa, che in nome del dio economico differisce la questione cinese e nel frattempo è impegnato sul fronte di guerra afghano in un’operazione decennale contrassegnata dall’ipocrisia di quel nome in codice, Enduring Freedom, che la dice lunga sull’arbitrarietà con cui l’occidente attribuisce significato alle parole. Personalmente, appena appresa la notizia del Nobel a Liu Xiaobo, la mia mente e il mio cuore sono volati allo scrittore dissidente Ma Jian, l’autore di quell’autentico capolavoro della narrativa mondiale che è Pechino è in coma, che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere e intervistare lo scorso anno a Cagliari durante il Festival Tuttestorie. Ma Jian aprì il suo incontro col pubblico cagliaritano pronunciando questa frase: “Cominciamo col dire che se adesso ci trovassimo in Cina, tutti voi, per il solo fatto di essere intervenuti alla mia conferenza, verreste immediatamente arrestati e trasferiti in carcere. Ma per fortuna non siamo in Cina”. Se ripenso a intellettuali di casa nostra come Edoardo Sanguineti che, durante un’intervista in Tv nel 2007, definì i martiri di Tienanmen “ragazzi poveretti, sedotti da mitologie occidentali, che volevano solo la Coca-Cola”, credo che la forza simbolica delle parole, l’attribuzione di un premio, il coraggio di una dissidenza siano, nonostante tutto, ancora importanti.
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