Come era prevedibile, oggi parlerò del vincitore del Premio Nobel per la letteratura 2010, Mario Vargas Llosa. O meglio, mi piacerebbe farlo, se solo lo conoscessi bene e avessi qualcosa da dire sul suo lavoro: ma siccome di suo ho letto poche cose sporadiche, l'ho sentito una volta parlare a una premiazione e ogni tanto sono arrivato con fatica in fondo a un suo articolo tradotto da Repubblica, di quelli che si prendono due paginone e sei giorni di vita, mi sa che passo e mi affido alle descrizioni copiate da Wikipedia che si trovano già ovunque in rete. Con un po' di vergogna, poi, ammetto che fino a un'ora fa tutto quello che sapevo di Mario Vargas Llosa, a parte un nome da collegare alla letteratura sudamericana, a quell'indistinto mondo di autori militanti, apologia dei campesinos, virtù magiche della cannella, dittature militari, el pueblounidojamásserávencido e laluchacontinua - frutto di un pregiudizio, certo, ma abbastanza efficace su di me da tenermi colpevolmente a distanza da Marquez, Cortazar, Amado, Fuentes e compagnia - tutto quello che sapevo, dicevo, era questa cosa qui: una scazzottata tra lo stesso Vargas Llosa e Gabo avvenuta negli anni '70 in un cinema di Madrid. Roba da Dagospia d'alta classe, insomma, che per di più a suo tempo non mi portò a chiedermi chi fosse davvero quello scrittore con la doppia "l" iniziale, a parte un nome prima sentito e mai collegato a un solo titolo di romanzo. La stessa cosa successa all'una e zero due di oggi, quando ho scoperto che neanche questa volta Roth o Amos Oz ce l'avevano fatta.
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Come era prevedibile, oggi parlerò del vincitore del Premio Nobel per la letteratura 2010, Mario Vargas Llosa. O meglio, mi piacerebbe farlo, se solo lo conoscessi bene e avessi qualcosa da dire sul suo lavoro: ma siccome di suo ho letto poche cose sporadiche, l'ho sentito una volta parlare a una premiazione e ogni tanto sono arrivato con fatica in fondo a un suo articolo tradotto da Repubblica, di quelli che si prendono due paginone e sei giorni di vita, mi sa che passo e mi affido alle descrizioni copiate da Wikipedia che si trovano già ovunque in rete. Con un po' di vergogna, poi, ammetto che fino a un'ora fa tutto quello che sapevo di Mario Vargas Llosa, a parte un nome da collegare alla letteratura sudamericana, a quell'indistinto mondo di autori militanti, apologia dei campesinos, virtù magiche della cannella, dittature militari, el pueblounidojamásserávencido e laluchacontinua - frutto di un pregiudizio, certo, ma abbastanza efficace su di me da tenermi colpevolmente a distanza da Marquez, Cortazar, Amado, Fuentes e compagnia - tutto quello che sapevo, dicevo, era questa cosa qui: una scazzottata tra lo stesso Vargas Llosa e Gabo avvenuta negli anni '70 in un cinema di Madrid. Roba da Dagospia d'alta classe, insomma, che per di più a suo tempo non mi portò a chiedermi chi fosse davvero quello scrittore con la doppia "l" iniziale, a parte un nome prima sentito e mai collegato a un solo titolo di romanzo. La stessa cosa successa all'una e zero due di oggi, quando ho scoperto che neanche questa volta Roth o Amos Oz ce l'avevano fatta.
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