La prima versione di questo romanzo (l'acronimo del titolo provvisorio è Bnb) è nata nel lontano 2009. Sapevo poche cose quando ho cominciato a scrivere, vedevo un luogo, una baia con un promontorio misterioso, un gruppo di persone unite da un passato da nascondere, una protagonista coinvolta suo malgrado in un delitto, e alcune inquietanti figure soprannaturali. La prima parte del romanzo è scivolata sulla tastiera in modo facile, come se dovessi solo mettere per iscritto dei ricordi. Poi sono venuti i problemi, ho cominciato ad arrancare, avevo perso la connessione con la storia. Comunque sono arrivata alla fine, testardamente. E se qualcuno se lo stesse chiedendo: no, non avevo pianificato nulla. Mea culpa.
Quando l’ho fatto leggere a mio marito, lui lo ha letto rapidamente, ha detto che grosso modo gli era piaciuto ma ha anche nicchiato, e quando ciò succede è un pessimo segno.
«Questo colpo di scena mi è piaciuto molto, ma non lo hai usato abbastanza».
«E come dovevo usarlo?».
«E io che ne so, sei tu la scrittrice».
«Ma ti è piaciuta la trama?».
«Sì, ma non so... c’è qualcosa che non va».
Sentivo anche io che qualcosa non funzionava ma non sapevo cosa. L’ho messo da parte e ho cominciato un altro romanzo. Una volta terminato anche questo, l'estate scorsa ho deciso di riprendere in mano il vecchio file di Bnb e l’ho rivoltato come un calzino, armata delle tante cose apprese in questi anni.
Il genere
Una delle cose che mi hanno aiutato di più in quest’operazione di riscrittura è stata mettere a fuoco il tipo di romanzo che stavo scrivendo. Non mi sono mai piaciute le etichette quindi non mi sono mai preoccupata di mettergliene una. Perché lo dovrei ingabbiare in qualche modo? Eppure, inquadrare il genere di storia è stato fondamentale. Mi ha aiutato a prendere coscienza dell’atmosfera che volevo ricreare, del tipo di trama che ci si aspetta in questi casi, degli elementi da approfondire e da eliminare. Ho fatto delle ricerche e ho capito che la mia storia è un noir, una sorta di giallo visto dalla parte di chi è coinvolto nel crimine.
In un saggio ho trovato questa definizione:
Il noir richiama tutto quanto c’è di torbido e di oscuro nell’animo umano che spinge a compiere azioni criminali.E da qui sono ripartita.
I personaggi
Dopo aver preso coscienza della tipologia di storia mi è venuto spontaneo riprendere in mano i protagonisti e approfondirne la psicologia. In un noir questo aspetto è fondamentale perché bene e male hanno confini molto sfumati. Inoltre, l’identificazione è quanto mai essenziale, occorre portare i lettori dalla parte di chi vive la storia più che mai rispetto alle altre storie. La mia protagonista femminile potrà piacere o non piacere, ma almeno ora è ben definita. Lo stesso vale per il protagonista maschile.
La trama
La seconda parte del romanzo – quella che non mi convinceva – è finita interamente al macero, senza pietà. La distanza psicologica mi ha fatto capire che il climax era debolissimo e che mancavano gli elementi necessari per condurre la storia a una conclusione soddisfacente. Inoltre, alcuni punti erano trattati troppo velocemente. Maledetta fretta...
Ambientazione
Lo scenario dov’è ambientato Bnb non è un semplice sfondo. Senza quei luoghi non ci sarebbe la storia, i fatti non potrebbero svolgersi altrove. Si tratta di un luogo inventato ma ispirato a un posto che conosco realmente fin da quando ero piccola. Quindi ho deciso di valorizzare le descrizioni e fornire molti più dettagli. Voglio che il lettore si senta proprio lì... troppo ambizioso? Spero di no.
La documentazione
L'aspetto soprannaturale della storia ha reso necessarie molte ricerche. Rispetto alla prima stesura, ho pensato di approfondire meglio l'elemento paranormale e non mi sono fidata delle mie conoscenze ma sono andata più a fondo. Sicuramente è stato un lavoro lungo e impegnativo, ma spero ne sia valsa la pena.
L’incipit
Forse lo avrete già letto nel blog di Michele Scarparo tra gli incipit della gara Io ti avrei pubblicato. O forse no. Qui ho deciso di riportarne qualche riga in più.
Si svegliava ogni mattina con la stessa fantasia in testa: un ispettore di polizia bussava alla sua porta. Se lo figurava sempre nello stesso modo, con folti baffi, aria da gentiluomo inglese e cravattino a farfalla, un’immagine che aveva tratto dal film di Hitchcock Il delitto perfetto. «Abbiamo il sospetto che lei sia implicata nella morte di un uomo», le diceva con tipica cadenza britannica. Entrava in casa togliendosi il capello e sfoderando modi gentili, ma Elena sapeva che non avrebbe avuto nessuna pietà di lei, l’avrebbe condotta in centrale e sottoposta a un interrogatorio snervante e interminabile. Si visualizzava in una saletta squallida, senza poter bere un solo goccio di acqua, torturata dall’emicrania e dalla vescica piena, preda di poliziotti sadici, pronti a tutto pur di indurla a confessare. E subito dopo era tra le pareti di una prigione, raggomitolata su una lurida brandina, condannata per omicidio. L’idea di quell’uomo che compariva alla porta l’accompagnava tutte le sere a letto, quando nel buio lottava per lasciarsi andare al sonno, ascoltando il respiro pesante di Matteo accanto. E riaffiorava la mattina, come un relitto portato a galla dagli abissi dell’inconscio. L’ispettore-capo di Scotland Yard era sempre nella sua mente, con un’espressione perspicace e un po’ sorniona stampata in faccia, pronto a ricordarle che prima o poi la verità sarebbe saltata fuori.
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