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Il nonno guaritore

Creato il 13 giugno 2011 da Chiaracataldi

L’attenzione di tutti gli occupanti della stanza era concentrata sul piatto, e in particolare su quelle tre gocce di olio che galleggiavano nell’acqua. E che non si mescolavano.
“Non sono loro, mi dispiace. Non posso fare niente per voi” aveva detto il nonno.
I genitori del bambino, sconsolati, si erano ripresi la canottierina del piccolo, su cui era stato posato il piatto. Non era necessario che fosse presente la persona vittima del presunto malocchio. Era sufficiente portare un indumento indossato sulla pelle.

“Nonno, perché non hai potuto levare il malocchio a Peppino?” aveva chiesto mia mamma non appena la coppia era uscita.
“Perché Peppino non ha il malocchio. Se una persona ha il malocchio, le tre gocce d’olio si allargano e si mischiano. Peppino ha qualche altra cosa, ma non so cosa”
“E perché Peppino non è venuto anche lui?”
“Perché non serve. È bastata la sua maglia per capire”.

A sette anni non si può capire proprio tutto, di una questione così strana.
Ma per mia mamma non era un problema: le piaceva lo stesso osservare suo nonno, anche se non capiva bene cosa succedeva. Le piaceva guardarlo mentre accoglieva le persone che avevano bisogno di aiuto e mentre ascoltava il loro problema. Si sentiva la sua assistente speciale, mentre gli teneva il piatto (perché a lui tremavano un po’ le mani), lo riempiva con l’acqua e gli porgeva l’olio e il sale. E le piaceva guardare il nonno, mentre mormorava quella litania incomprensibile, la formula magica che scacciava ogni malattia. Quelle parole che si possono imparare solo durante la notte di Pasqua.
Agli occhi di mia mamma, il nonno era un mago, e lei si sentiva parte di quella magia.

La guarigione più richiesta era senz’altro quella dal malocchio. Tutti si sentivano, in un modo o nell’altro, vittime del malocchio, oppure pensavano che un componente della famiglia potesse esserlo. Il sintomo era principalmente un malessere, di vario tipo. Il grande vantaggio, come già accennato, era quello di poter agire “in contumacia”, cioè in assenza dell’interessato. Cosa che valeva anche per gli animali domestici. Anche loro, infatti, potevano avere il malocchio: in quel caso, difficilmente si poteva trasportare un bue o una giumenta. Allora si strappava un pò di crine e si agiva su quello.
Ma c’erano anche altri male, ai quali il nonno sapeva porre rimedio: le insolazioni (“coglieva il sole”), il mal di pancia (“calava i vermi”), i reumatismi (“toglieva l’umidità dalle ossa”).

“Hanno bussato. Vai a vedere chi è” aveva chiesto il nonno.
I coniugi Giaquinta tornavano per la seconda volta nella giornata. La signora da tempo aveva un forte mal di testa, che non voleva passare. Stamani il nonno le aveva trovato il malocchio: anche mia mamma l’aveva capito, perché le tre gocce d’olio, su cui il nonno aveva buttato un pizzico di sale, si erano unite, formando una grossa macchia che si spandeva sulla superficie dell’acqua. “Sono loro” aveva detto con sicurezza.
‘Loro’ chi? Si chiedeva sempre mia mamma. E pensava a una squadra di diavoletti, responsabili del malocchio che affliggeva la signora.
Che per l’appunto era tornata per ripetere il rito, la seconda volta. Il malocchio infatti si scacciava in tre round, ripetendo la stessa procedura per tre volte.
“Tornate stasera, dopo cena, così finiamo” aveva detto il nonno salutandoli.

“E’ finita l’acqua santa. Ci serve stasera, quando torna la signora Giaquinta”.
Il terzo round era quello decisivo. Affinché il malocchio venisse definitivamente scacciato, serviva un’arma segreta: l’acqua da versare nel piatto doveva provenire da tre fonti diverse. Il massimo era che l’acqua fosse presa dai fonti battesimali delle tre chiese del paese. Diversamente, andava bene anche l’acqua delle tre fontane. Ma l’acqua santa era senz’altro più potente, si capisce.
Mia mamma in questo aveva un ruolo fondamentale. Toccava a lei, armata di una bottiglietta di vetro vuota, di quelle del succo di frutta, fare il giro delle tre chiese. Stando attenta a non farsi vedere da nessuno, entrava rapidamente in chiesa, affondava la bottiglietta nel fonte, e quando la sentiva abbastanza piena, usciva di corsa. Certe volte veniva sorpresa dal sacrestano. Allora abbandonava la bottiglietta e correva a casa.

“Nonno, ma glielo levi il malocchio alla Signora Giaquinta?” chiedeva mia mamma.
“Spero di si”
“E se glielo levi, che cosa ti regalano?”
“Quello che vogliono loro”
A mia mamma piaceva il lieto fine. Era contenta quando vedeva le persone andare via sollevate, per il malocchio tolto. E le piaceva anche indovinare cosa avrebbero regalato al nonno. La guarigione infatti non era valida se non veniva accompagnata da un dono: a discrezione del guarito, poteva essere una bottiglia di vino o di olio, una mezza dozzina di uova, ma anche 500 o 1000 lire, in casi davvero eccezionali.
“Secondo me ti regalano le uova, perché hanno le galline. Anzi, ti regalano una gallina intera!” fantasticava mia mamma.



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