Perché si dice che spesso le decisioni di pancia sono le migliori? Scopriamolo insieme.
Quella frase “non ti è andata giù”? Prima di affrontare il tuo capo hai la “pancia in subbuglio”? Le migliori decisioni si prendono “di pancia”? Nei modi di dire c’è una saggezza antica e un sentire comune che le leggi della medicina psicosomatica indagano da tempo. E ormai anche il mondo della ricerca ha smesso di storcere il naso. Pubblicazioni scientifiche alla mano, diversi studi hanno dimostrato che il nostro “secondo cervello” sta proprio lì, nel nostro ventre. Pronto a lanciare segnali, a digerire emozioni e a inviarle al cervello, a intuire quello che vogliamo veramente e a condizionare il nostro comportamento.
Partiamo dalle manifestazioni fisiche delle emozioni. Le “farfalle nello stomaco”, per esempio. Questa sensazione è dovuta al deflusso di sangue all’apparato digerente verso i muscoli, una reazione che prepara l’organismo a rispondere a uno stress emotivo. Che sia negativo o positivo, la dinamica è sempre la stessa: l’adrenalina aumenta, il cuore e il respiro accelerano, mentre il rallentamento della motilità e delle secrezioni gastrointestinali manda la digestione in stand-by. Senza sensazioni fisiche come queste non ci sentiremmo davvero emozionati. Michael D. Gershon, biologo cellulare della Columbia University, ha studiato a lungo il rapporto tra addome e mente giungendo alla conclusione che l’apparato digerente, se da una parte risente dei nostri stati mentali, dall’altra riesce anche a condizionarli. “Le persone che seguono le sensazioni della loro pancia hanno la certezza interiore che la loro scelta è quella giusta, al di là di ogni valutazione razionale” spiega Erman Mayer, neurobiologo dell’Università della California. E’ quello che chiamiamo intuito, una facoltà che si basa su meccanismi inconsci ed esperienze precedenti. Se, ad esempio abbiamo fatto bene a non fidarci di qualcuno dopo aver provato certe sensazioni viscerali, saremo ancora diffidenti se la pancia ci invierà gli stessi segnali in un’occasione successiva. “Inoltre, alcuni studi mostrano che sentimenti negativi come rabbia, paura, depressione, senso di impotenza e ostilità sono associati a differenti reazioni gastrointestinali che, in gran parte, inviano feedback al cervello in modo inconsapevole” conclude Mayer.
Torniamo allo stress. Esso diventa un problema quando è troppo intenso e prolungato nel tempo. Succede, per esempio, quando si vive un’esperienza che richiede sforzi superiori alle nostre risorse o che percepiamo come una minaccia. Come spiega Giovanni Andrea Fava, docente di Psicofisiologia clinica all’Università di Bologna: “Piccoli eventi quotidiani, soprattutto nei contesti di lavoro in cui problemi con il capo e i colleghi sono all’ordine del giorno, possono superare il carico soggettivo di stress che la persona è in grado di sopportare”. Ed ecco che la pancia ci invia i suoi campanelli d’allarme: “L’attivazione fisiologica non può tornare ai livelli di base e il sistema gastroenterico è uno dei più bersagliati”. I disturbi più comuni che possono insorgere sono il colon irritabile (dolore associato a stitichezza o diarrea) o la dispepsia funzionale (dolore di stomaco, pesantezza, nausea e gonfiori). Sebbene non esista una spiegazione accertata dei meccanismi fisiologici che entrano in gioco, è appurato che sono spesso associati a stress, ansia e depressione. Condizioni che tutti conosciamo ma che non sempre riusciamo ad affrontare e a sfogare. Se non trovano una valvola di sfogo rischiano di ritorcersi contro: “E’ quello che succede alle persone chiuse, che non condividono con gli altri ciò che vivono. Sono più portate ad accumulare tensioni e a risentirne anche a livello somatico” spiega Fava.
Fonte: Focus. Scoprire e capire il mondo. N. 258 – Aprile 2014