Magazine Bambini
Analizzando i lati positivi, posso dire di aver imparato vocaboli nuovi: per esempio nell'universo mondo esistono le lendini, ovvero le uova da cui sboccia un animaletto marroncino chiamato volgarmente pidocchio (un essere che io, personalmente, non ho mai visto nel suo tranquillo tran tran giornaliero).La prima avvistatrice – nonché catturatrice e boia – del nemico è stata mia moglie, in una uggiosa serata di due mesi fa. Me lo mise sotto il naso, accompagnando l'ostensione con un grido lancinante e un principio di svenimento. La notte che passò fu, inutile dirlo, praticamente insonne tra roghi purificatori e disinfestazioni capillari. Da allora, da quella sera, tutto è cambiato.
Per prima cosa ci affidammo alla nobile arte della Farmacia, applicando sulla cute della povera bimba – mia figlia, per la miseria – i migliori ritrovati mondiali per la cura dei pidocchi. Due trattamenti al giorno (“Ma sulle indicazioni c'è scritto una volta ogni due giorni”, protesto. “Sconfiggiamoli definitivamente! Tu non capisci la drammaticità della situazione”, risponde piccata mia moglie). 48 ore dopo, la mazzata: le lendini sono ricomparse. Dopo un consulto medico di un pool di cervelli (formato da me, mia moglie, una lontana zia siciliana, una fattucchiera romagnola in odore di eresia e il ferramenta) riusciamo a capire che si tratta di lendini vecchie o secche, cioè che non contengono il nemico parassita. Ma alla mia consorte questa vittoria parziale non basta: vuole vincere la battaglia finale, costi quel che costi.
Allora ci siamo aggrappati a riti ancestrali tramandati oralmente da antichissimi avi: abluzioni con aceto, pettinamenti con unguenti magici, emulsioni con erbe rarissime, la cui raccolta deve necessariamente avvenire nelle notti di luna calante. Mi presto alle mansioni più umili (raccolta notturna delle erbe, ricerca in tutto il territorio di misteriosissimi olii, acquisto di bancali di aceto nei supermercati del territorio), pur di metter la parola fine a questa disgrazia. Alla fine il pidocchio è sconfitto. Ma evidentemente al gineceo che mi circonda tutto questo non basta. Si procede, allora, come extrema ratio, all'accorciamento della chioma della bimba – che è pur sempre mia figlia, per la miseria -. Segue un breve corso per l'accompagnamento della bambina, al termine del quale mi viene imposta una consegna da cui non posso transigere: il silenzio assoluto. Il pidocchio sarebbe una macchia indelebile nella fedina igienica dell'albero genealogico della famiglia. Concentrato allo spasimo, porto mia figlia a prendere il pullmino scolastico. La madre di un'altra bimba è già alla fermata con una borsa piena di vetro da riciclare (Bottiglie di aceto? Ampolle di olio?). Nota la nuova acconciatura di mia figlia e mi chiede con fare malizioso: “Le avete tagliato i capelli?”. Fresco di corso per accompagnamento ribatto: “I capelli corti sono più pratici con la bella stagione”. Per inciso la giornata è decisamente invernale con temperature al di sotto di molti gradi rispetto alla media stagionale: in pratica uno degli autunni più freddi della storia dell'Umanità. Lei sorride, sardonica. Capisco che ha capito. Arriva il pullmino e lei se ne va, lasciando una scia acre di aceto.
Pochi giorni fa era sua figlia ad avere la chioma notevolmente più sfoltita. È la mia rivincita: “Anche per lei è una questione di praticità?”. Lei di rimando, come se leggesse il copione di un film: “Ma no, è il nuovo look del mondo di Patty”. È una battaglia ancora lunga. Moooolto lunga...
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