In realtà, la questione giovanile è la questione più drammatica della situazione italiana, ed è il concentrato di tutte le sue storture, il riassunto più eloquente di tutte le sue ingiustizie. Per intendere la gravità della condizione dei giovani bastano alcune cifre: tra il 2008 e il 2010 la crisi economica ha ridotto del 13% l'occupazione dei nostri giovani (mentre ha ridotto del 3% quella dei giovani tedeschi). L'Italia è anche uno dei Paesi con la percentuale più alta di under-30 che dipendono economicamente dai genitori. La cosa non può stupire se si tiene presente che su circa 7,8 milioni di giovani, quelli pienamente inseriti nel mercato del lavoro sono non più di 2,2 milioni (meno del 30%); se si tolgono gli studenti, si arriva a poco più del 40%. Ciò significa che la grande maggioranza dei giovani che hanno concluso gli studi è esclusa o mal inserita. Inoltre c'è non solo una forte instabilità nel lavoro dei giovani all'ingresso (la grande maggioranza dei contratti per i giovani è a breve scadenza: nel 2011 il numero dei cosiddetti precari si attestava intorno ai 3,3 milioni), ma c'è anche una riduzione delle possibilità successive di stabilizzazione. In questo quadro non può meravigliare il deterioramento delle condizioni retributive del nostro mondo giovanile: i salari dei giovani italiani risultano mediamente più bassi rispetto a quelli dei coetanei europei. All'origine di questa disastrata condizione giovanile italiana ci sono anzitutto due fattori: la mancata crescita economica o una crescita irrisoria (che dura ormai da più di un quindicennio), e il dualismo del mercato del lavoro. Il dualismo si basa sul fatto che gli anziani occupati godono di tutti i diritti e di tutte le protezioni, mentre i giovani non hanno nessuno di quei diritti e nessuna di quelle protezioni. I giovani sono così colpiti dalla brevità dei loro contratti, dalla inferiorità dei loro salari, dalla atroce instabilità del loro lavoro (è infinitamente più facile non rinnovare il contratto di un giovane che licenziare un lavoratore maturo, anche quando il primo è più produttivo del secondo); per non parlare poi delle misere prospettive delle pensioni future.
Per porre rimedio alla estrema gravità della situazione giovanile italiana occorre certamente aumentare (come dice Rosina) la spesa sociale a favore delle nuove generazioni, che da noi è la più bassa in Europa; occorre investire in formazione; occorre istituire un raccordo efficace fra scuola e mondo del lavoro (oggi molte imprese non riescono a soddisfare le loro necessità di manodopera tecnica), ecc. ecc. Ma occorre superare, prima di tutto, il dualismo del mercato del lavoro, che punisce così gravemente i nostri giovani. Così come occorre, naturalmente, riavviare la crescita, promuovendo quelle liberalizzazioni, quella rimozione di privilegi corporativi, quelle riduzioni della spesa pubblica in settori parassitari per abbassare le tasse e finanziare investimenti produttivi, che fino ad oggi ci sono state promesse, ma che non sono mai state realizzate.