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Il Paese che vorrei

Creato il 11 febbraio 2013 da Webnewsman @lenews1
Il Paese che vorrei

Iniziano le ultime due settimane di campagna elettorale e, terminato questo periodo, non credo che se ne sentirà francamente l’amara nostalgia.

La campagna elettorale non solo non mi è piaciuta ma, credendo di evidenziare un sentimento piuttosto diffuso, non mi ha convinto nei contenuti e, soprattutto, nei programmi.

Non ho intenso a quale tipo di accordo giungerà il Pd con la lista Monti per la stabilità al Senato e quale spessore qualitativo ne garantirà la tenuta considerando la difficile coabitazione politica tra i programmi di Sel e quelli, per esempio, dell’Udc del “grande centro” di Monti.   

Tantomeno, gli spot propagandistici del Pdl e del M5s possono garantire fiducia.

Eliminare l’Imu sulla prima casa offrendone la restituzione è operazione che non solo sarà priva di consistenza ma sarà anche di difficile attuazione nel breve periodo. Garantire la copertura del recupero del denaro restituito ( circa 4.5 mld di euro ) attraverso l’accordo italo  - svizzero sui capitali evasi potrebbe non essere operazione di veloce attuazione considerando i tempi necessari alle procedure di stipulazione dell’accordo, delle ratifiche e dei conseguenti decreti di attuazione.

Nel dicembre del 2012, poco più di un mese fa, l’accordo tra il governo di Berna e l’esecutivo tecnico del Prof. Monti fallì sebbene la positiva conclusione sembrasse vicina.

Il tentativo costò, e costa tuttora alle casse dello Stato italiano, la perdita di ingenti capitali probabilmente trasferiti successivamente in altri fortini fiscali.

Secondo una stima di Bankitalia sono circa 150 i miliardi di euro che gli italiani hanno versato nel 2011 nei forzieri svizzeri. Applicando un tasso del 20% su questo capitale l’accordo avrebbe permesso di recuperare almeno 30 miliardi di euro. Se invece fosse stato applicato un tasso simile a quello dell’accordo tra Berna e Berlino ( con un tasso pari al 34%) si parlerebbe di 51 miliardi di euro annui. Una cifra che non avrebbe messo al sicuro l’intera economia italiana ma che avrebbe dato un contributo molto forte.

Il movimento di Beppe Grillo ha interpretato ed intercettato in questi anni molte delle pulsioni antipolitiche di questo paese. E lo ha fatto con ragione di causa, toccando argomenti come la corruzione, la tutela dell’ambiente, la perdita di posti di lavoro, la sanità e l’istruzione che ci riguardano tutti e di cui tutti avremmo dovuto ergerci a protagonisti in prima persona; la nuova politica dovrebbe essere fatta dai cittadini per i cittadini assumendoci in prima persona le istanze di giustizia ed equità che sole possono ridare dignità ad un popolo eticamente ferito e svilito e non più delegando ad altri quelle priorità civiche che la cattiva rappresentanza ha subordinato ai privilegi di pochi.

Tuttavia, non scorgendo rimedi concreti alle problematiche avanzate, ho la sensazione che il M5s, probabilmente la nuova terza o quarta forza politica del Paese, potrà garantire una forte opposizione in Parlamento e nulla di più.

La lega, mutato il proprio establishment con la guida nelle mani di Roberto Maroni dopo la bufera del family Bossi, è esclusivamente  interessata al controllo politico delle tre regioni del Nord, Lombardia, Veneto e Piemonte e, da questo presupposto, è ripartita l’antica alleanza con il Pdl interrotta un anno fa dall’ingresso del governo Monti.

E’ questa una situazione non priva di profondo rilievo: se il Pdl dovesse vincere le elezioni, riportando al governo una forza politica quale la Lega Nord con appena il 5% circa dei consensi, verrebbe enormemente influenzato nei programmi e negli spazi di manovra dagli interventi leghisti.

In subordine, la vittoria del Carroccio alle amministrative lombarde per la conquista del governo regionale riporterebbe nella sede di Via Bellerio le redini della guida della Lombardia, la più importante realtà economica e finanziaria del Paese, ed anche in tale evenienza gli elementi di influenza, o di ostacolo, verso eventuali scelte del governo centrale, sia esso di centrosinistra o centrodestra, sarebbero notevoli.

In questa sconfortante campagna elettorale abbiamo assistito a continui spot degni delle più pressanti azioni mediatiche riflettenti l’ideologia del consumismo dilagante.

Non un cenno concreto alla cultura ed alla istruzione come forza costituente per ricostruire, in primis, le fondamenta sociali.

Tutta l’attenzione politica dei leader si è rivolta alla pressione fiscale che, seppur argomento di oggettiva rilevanza ed a tratti di forte drammaticità, non risolve in via immediata le problematiche decennali che ci affliggono in modo così evidente da aver generato un declino che appare irreversibile.

Le promesse fiscali di breve periodo potrebbero rivelarsi evanescenti e già questo dato è di notevole importanza sotto il profilo della credibilità.

Seguendo una linea argomentativa differente, sarebbe auspicabile realizzare e spiegare ai cittadini come elaborare una piano biennale o triennale  di rilancio della ricerca e dello sviluppo il cui finanziamento sarebbe ricavabile dalla lotta alla corruzione, all’evasione, che ci costano complessivamente quasi 200 mld/annui, e dalla previsione di una patrimoniale sui grandi patrimoni e sulle rendite finanziarie.

Rifondare una nazione dalle proprie radici ridandovi linfa attraverso la cultura e l’istruzione come orizzonte di nuove opportunità professionali. Già in questa petizione di principio, probabilmente, è enucleata l’intera proposta elettorale che una forza politica dovrebbe suggerire.

Ricostruire il tessuto connettivo di un paese, tutto quanto tenga insieme individuo, società e istituzioni, non può che prendere le mosse dai princìpi fondamentali della storia, anche recente.

Ripartire dalla concezione che non si è sudditi di questo stato ma cittadini e la scuola, per anni fiore all’occhiello del nostro sistema educativo, portata ad esempio in Europa, dovrebbe riprendere il suo ruolo.

In una società che guarda al futuro all’interno di un mercato globale, la fuga dei cervelli e la conseguente loro perdita si trasforma ben presto in una dipendenza culturale ed economica ed infine nella incapacità di produrre beni con un forte valore aggiunto, tecnologico ed umanistico.

E’ questo il Paese che in molti vorremmo.

 

Cristian Curella

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