Ripreso dall’omonimo romanzo tarantino pubblicato sempre da Fandango. Il quindicenne di buona famiglia Francesco, detto Veleno, non riesce a farsi accettare dagli altri ragazzi del paese di estrazione sociale inferiore, fino a quando gli viene proposto dal capo del gruppo Zazà il ruolo di portiere della loro squadra di calcio. Il racconto dei pomeriggi di questi ragazzini pugliesi si divide da una parte in relazione al loro futuro calcistico promettente o meno, dall’altra nel rapporto che si instaura con una giovane sposa infelice di nome Annalisa, che i due protagonisti desiderano e che idolotrano come una madonna.
Purtroppo dopo breve tempo la pellicola comincia ad accusare difetti, in particolare di narrazione e sceneggiatura: anche se si tenta di incastrare le due sottotrame facendole convergere in qualche modo a un bivio, è come se gli argomenti si esaurissero già nella prima mezz’ora del film, andando poi sfaldandosi e ripetendosi per il resto del tempo. La verità è che non si può trascinare un racconto di questo tipo (che sarebbe andato bene per un cortometraggio) per più di ottanta minuti e farlo quasi solo attraverso “momenti di sospensione”: si ha quasi l’impressione di vuoti di sceneggiatura e/o di mancanza di idee, più che effetti poetici. La fotografia, rispetto alla media dei film italiani, risulta piuttosto curata, anche se un po’ troppo contrastata, ed è evidente anche una volontà di ricercatezza delle inquadrature. Questi elementi non possono però molto in confronto alla carenza di quello che si vuole raccontare. D’altra parte nemmeno ci si può aggrappare ai personaggi dato che è difficile immedesimarsi perché sembrano essere usciti quasi dal nulla, senza un passato e senza una personalità, ciò anche a causa dell’inverosomiglianza dei dialoghi.
A parte il fatto che la questione del calcio come livellatore sociale e delle differenze, fa molto pubblicità dei Ringo… Giunti verso la fine alla sequenza della partita di calcio nel fango, ripresa ed esaltata da tutte le angolazioni possibili al ralenti, pare evidente come “Il paese delle spose infelici” sia un film pregno di una cultura calciomane che al tempo stesso si piega su se stessa e se ne compiace, senza alcuna volontà di proporre alternative e soluzioni alla difficile situazione in cui si trovano i protagonisti nella realtà pugliese.