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Il paganissimo Chocolat

Creato il 09 giugno 2013 da Femina_versi @MicaelaTweets

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Intanto sfatiamo alcuni luoghi comuni legati a questo libro (almeno in Italia): non è un libro di cucina, non parla del piacere del cibo, non ci sono ricette e non tratta di “golosità”.

Se volete leggere un libro che leghi cibo, piacere, gola ed eros leggete lo splendido Afrodita della Allende.

Secondo luogo comune: lasciate perdere il film. Grazioso ed impeccabile, ma il libro è un’altra cosa, o quasi.

Perché allora tante superficialità su Chocolat? Per nascondere un semplice dato - palese alla lettura –  che nella sua natura intrinseca contiene la forza del tabù e della relativa rimozione: Chocolat è un libro pagano.

Vianne è pagana, strega fino al midollo. La struttura è pagana: la vicenda comincia nel periodo di Imbolc (nei giorni del carnevale) e termina a Oestara, il periodo della Pasqua, due delle otto porte del calendario rituale pre-cristiano.

L’antagonista (che nel film è stato sostituito da un più politically correct sindaco) è in realtà un prete, un curé: Francis Reynaud, in ortodosso digiuno quaresimale, tanto rigido coi suoi parrocchiani quanto con se stesso nel (vano) tentativo di nascondere i segreti (non proprio edificanti) del suo passato.

Egli rappresenta, per estensione letteraria, l’Uomo Nero: l’istituzione, maschile e patriarcale morale oltre che religiosa che vigila, norma e detiene il potere sul “buon costume” sociale, fino ad ottenere una moralità bigotta e castrante per la comunità in generale e per le donne in particolare.

Così, nel paesino immaginario di Lansquenet-sur-Tannes, Monsieur Muscat  - che picchia la moglie e dà fuoco alle barche degli zingari ma va a messa la domenica – ottiene dalla comunità maggiore considerazione della moglie, considerata “pazza” per i suoi strani atteggiamenti e le sue difficoltà di inserimento sociale.

Nelle vicende delle donne (e degli uomini) che incontrano la nuova concittadina Vianne e la figlia Anouk si scioglie, al profumo del cioccolato, una forza arcaica di libertà dagli stereotipi, dalle moralità bigotte, dalle false bontà delle Anime Belle. Una voglia eccitata una volta di più dall’arrivo dei nomadi ormeggiati sul Tannes, una voglia che il curè deve domare a tutti costi per la sua archetipale pericolosità, in nome di un controllo divino. A tutti i costi.

Con Vianne, con la sua magia (quella vera) di intuito, fiocchi rossi e campanellini, erbe appese, ascolto, piccoli simboli, accoglienza, accettazione, profumo di teobroma, spezie e peperoncino, sarà la bellezza della natura profondamente umana a vincere e l’ipocrisia a cedere (pagando il prezzo che deve) al dolce-amaro della tentazione repressa.

Il libro in realtà è un inno non tanto al piacere quanto tale, ma al godimento della vita nella sua pienezza (precetto pienamente pagano): alla sua celebrazione, al superamento del timore della morte che rende schiavi, ipocriti e bigotti.

Perché la felicità vera (la cosa più importante) è in fondo “semplice come un bicchiere di cioccolata o tortuosa come il cuore. Amara. Dolce. Viva”.

Chocolat
Joanne Harris, 1999

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