Siamo nel pieno dell’era di Internet: guardandoci intorno andremo di sicuro a renderci conto che la rete è uno strumento potentissimo che, in qualche modo, è entrato a far parte della vita di ognuno di noi. Magari dieci anni fa non avremmo parlato alla stessa maniera, soprattutto perchè essere in rete era una sorta di “privilegio d’elite”, mentre oggi come oggi accedere al World Wide Web è diventato non solo alla portata di tutti, ma anche piuttosto semplice (pensate, ad esempio, agli smartphone che potenzialmente ci permettono di essere in rete da qualsiasi posto).
Voglio però centrare il mio discorso su un aspetto piuttosto specifico di quello che è il mondo di Internet: i motori di ricerca, questa specie di archivio perennemente aggiornato su quelli che sono i contenuti della rete. E non è un caso: ho letto l’abstract di una tesi di alcuni ricercatori della University of Columbia, abstract pubblicato sulla rivista Science, che mi ha dato abbastanza da pensare. Vi spiegherò meglio.
Ricordate quando, un bel po’ di anni fa, per colmare le nostre lacune avevamo bisogno di un’enciclopedia, o di un dizionario, o di un libro, o di qualsiasi altra cosa non avessimo sempre a disposizione? Bene, indubbiamente la nostra memoria era costretta a far tesoro di questa informazione e ad aggiungerla al nostro bagaglio personale di informazioni. Converrete con me che oggi le cose sono piuttosto cambiate: bastano un paio di click per accedere alle informazioni di cui abbiamo bisogno e, come vi ho già detto, trovare queste informazioni non implica cercare un testo, o tornare a casa per consultare l’enciclopedia.. potrebbe bastare semplicemente un movimento del braccio per estrarre il proprio telefono dalla tasca dei jeans.
E’ proprio questo il succo dell’abstract che ho letto: secondo alcuni ricercatori dell’University of Columbia, infatti, questa sarebbe una vera e propria maniera per NON tenere allenata la nostra memoria , di tendere a ricordare non l’informazione in sè ma il dove questa si trovi rischiando, di conseguenza, dipeggiorare il funzionamento della memoria stessa. Ecco l’abstract della tesi di questi signori:
The advent of the Internet, with sophisticated algorithmic search engines, has made accessing information as easy as lifting a finger. No longer do we have to make costly efforts to find the things we want. We can “Google” the old classmate, find articles online, or look up the actor who was on the tip of our tongue. The results of four studies suggest that when faced with difficult questions, people are primed to think about computers and that when people expect to have future access to information, they have lower rates of recall of the information itself and enhanced recall instead for where to access it. The Internet has become a primary form of external or transactive memory, where information is stored collectively outside ourselves.
Occhio, però, la situazione non è tragica come sembra! In maniera totalmente parallela a quanto scritto sopra scatta, all’interno della nostra mente, un altro meccanismo alquanto interessante:quello che riguarda l’arguzia. Fate ben caso che, faccia a faccia con un motore di ricerca, con il passare degli anni abbiamo imparato a convivere con l’algoritmo, e a strutturare le nostre query di ricerca in maniera sempre migliore così da arrivare, nel minor tempo possibile, al risultato da noi desiderato.
Inoltre, poi, si tende ad integrarsi sempre di più con il motore di ricerca tanto da entrare nei meccanismi, da impararne le sfaccettature ed a riconoscere, quasi a colpo d’occhio, la migliore fonte d’informazioni tra i milioni di risultati proposti (badate bene che non sempre ai primi posti figurano fonti valide…). La nostra mente, in altre parole, diventa quindi allenata ad utilizzare uno strumento (o una serie di strumenti) esterno alla natura umana, semplice da usare ma contemporaneamente difficile da comprendere. E ciò vi giova, e non poco.
In sostanza, quindi, quello dell’utilizzo e della diffusione dei motori di ricerca è davvero un discorso paradossale: affievolisce la capacità di immagazzinare informazioni di carattere “umanistico”, eppure aguzza l’ingegno e va a stimolare l’intuito.
E, come sempre succede quando si parla di ricerca e teorie varie, questo è davvero un bel casino… Qualche temerario disposto ad esprimere la propria ed a farmi sapere quale dei due aspetti, secondo lui, è prevalente al giorno d’oggi?