Sono fermamente convinto che esista realmente un problema giustizia in Italia e che esso rappresenti una delle tare istituzionali che trascinano il Paese verso il basso. Ne abbiamo avuto prova lampante dalla sentenza del processo “Cucchi” dove abbiamo assistito ad una delle più grandi ingiustizie mai commesse in un tribunale, dove abbiamo potuto vedere il peggio che un rappresentante dello Stato possa produrre, dove abbiamo assistito allo Stato che assolve se stesso e calpesta giustizia, diritti, verità.
Oggi però parlare di questione giustizia è tabù. Paradossalmente indignarsi per evidentissimi casi di giustizia ingiusta diventa difficile perché inibito dalla sensazione sgradevole di passare dalla parte di coloro che da anni attaccano il Potere Giudiziario per motivi politici. Il berlusconismo e la difesa ad oltranza del capo della destra italiana ha prodotto l’impossibilità di criticare liberamente i giudici. Paradossalmente il continuo attacco contro le toghe da parte dei berlusconiani ha eretto un muro in difese delle stesse che, di fatto, protegge atti di abuso di potere come quello cui siamo stati testimoni.
La giustizia in Italia è un colabrodo. I giudici oscillano tra strapotere e corruttibilità, tra asservimento e politicizzazione, tra bassa professionalità e immoralità. Ben inteso: vi sono giudici integri e rispettabilissimi. Ma il caso Cucchi ci pone davanti una magistratura debole e asservita ad altri poteri, siano essi dello Stato o di altra natura, che pur non essendo maggioritaria produce danni irreparabili alla democrazia e alla credibilità dello Stato stesso. Ciononostante è difficile promuovere azioni politiche per riformare radicalmente il Potere Giudiziario perché si intercetterebbero gli interessi illegittimi di Berlusconi. In sostanza in Italia non si può pensare a riformare la giustizia finchè esisterà il berlusconismo.
Luca Craia