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Il paradosso del lavoro

Creato il 28 aprile 2010 da Gaia

Chiedo scusa alle persone che controllano regolarmente il mio blog, se non ho scritto niente per tanto tempo. Ero occupata con cose di cui non sapevo che dire pubblicamente: finire il romanzo, soprattutto, andare in giro per lauree (l’ultima, di mia sorella a Firenze, andandoci siamo rimasti bloccati in autostrada sull’Appenino tra chilometri di tir, a uno dei quali è scoppiata una gomma, facendo finire enormi rotoli di carta sull’autostrada e costringendo tutti ad aspettare che la strada venisse ripulita. Intanto altri camionisti bloccati sulla piazzola di sosta ci offrivano dolci e vino, e si lamentavano: nessuno fa i controlli per garantire la sicurezza, le strade sono pericolose, e questa è troppo stretta. Ne stanno costruendo un’altra più in là: altri piloni di cemento gettati nel vuoto, altri buchi nelle montagne, altre cave, come sono brutte le cave, mostruosi, insanabili morsi agli Appennini… a me i camionisti stavano molto simpatici, però possibile che le strade non bastino mai? la mattina faccio colazione con le brioche al bar: quelle di sicuro non hanno attraversato l’Autostrada del Sole.)

E poi, sono di nuovo al punto di dover cercare un lavoro, perché più è difficile stare qui, a Udine intendo, più mi convinco di dover restare, anche se potrei proprio non farcela. Ma andarmene, in questo momento, sarebbe una sconfitta. Quindi: di nuovo alla ricerca di un lavoro per sopravvivere. Quella del lavoro è una cosa proprio interessante.
Il lavoro è un diritto, è il pilastro su cui si fonda la nostra repubblica, nobilita l’uomo (e la donna)… va bene. Ma cosa vuol dire, lavoro? Vuol dire dare un contributo alla collettività, in cambio di contributi altrui. Hai fame? Io coltivo le cipolle e te le do, tu magari mi curi la figlia, oppure io faccio ricerca così poi tu sai più cose senza dovertele scoprire di persona, e tu mi prepari quel vestito che mi piace tanto… eccetera.
Il paradosso è che a noi, e per noi intendo Friuli, Italia, Europa, non è tanto che mancano queste cose, che non abbiamo cipolle, vestiti, o ospedali (qui magari il discorso si complica), ma che, soprattutto con la crisi, non abbiamo lavoro! Com’è possibie? Vedete gli operai cassintegrati che protestano: non dicono mancano calze, occhiali o automobili, dicono: non ce le fanno fare a noi, le vanno a fare in Cina, o nei Balcani. Eppure, basta guardarci intorno: siamo circondati da automobili anche di lusso, il centri commerciali straripano di calze che la gente continua a comprare, e tutti adesso indossano quegli orribili occhiali da sole quadratondi che sono tornati di moda, e che qualche anno fa non metteva nessuno, e da dove vengono? Il settore edile è fermo, protestano veementemente i lavoratori del settore edile, pretendendo che riparta. Peccato che abbiamo già cementificato molto più del necessario, e a Udine ci sono così tante case che non si riescono a vendere. Ma chi se ne frega! Facciamo ripartire il settore edile!!!
Intanto la gente nel resto del mondo fa la fame o vive in miseria, magari la stessa che fa gli occhiali, le calze o le automobili.
Attenzione: Gaia ha scoperto l’acqua calda! Le disuguaglianze globali!
Non ho la soluzione, ovviamente, nè la pretesa di dire qualcosa di originale. Però non ne posso più di sentir dire (anche dai sindacati, solitamente), che bisogna far ripartire l’economia, ricominciare a produrre, riaprire le fabbriche… “diamo qualcosa di inutile da fare a tutta questa brava gente, se no non mette sul tavolo la cena la sera”. “Abbiamo tanta roba che non sappiamo che farcene, ma facciamone ancora, se no gli operai vanno a piangere in televisione!”
Ridistribuzione è la parola d’ordine, ecco cosa voglio dire. Lotta all’evasione, agli stipendi d’oro, agli sprechi. Lavorare meno, produrre meno, consumare meno, vivere meglio, TUTTI. Il pianeta non basta per soddisfare i capricci consumistici di ognuno, questo è innegabile. Quindi è inutile continuare a incoraggiare il consumismo perché crea lavoro. Poi bisognerà smaltire i rifiuti tossici, litigarsi le miniere, stare senz’acqua perché è finita nei campi e nelle fabbriche, inquinare l’aria, smontare le montagne… perché bisogna creare lavoro, il Dio Lavoro. E se i consumi totali possono arrivare solo fino ad un certo livello senza distruggere il pianeta, il che è innegabile, le cose sono tre: o accettiamo disuguaglianze mostruose, o redistribuiamo le risorse, autoimponendoci la sobrietà, il riuso, il riciclo, o… la terza non la dico.
Ora vengo alla mia situazione personale. Ultimamente ribollisco di idee, e sento di poter dare veramente un grosso contributo alla società, che è appunto il senso del lavoro. Eppure, negli ultimi anni, tutte le cose più utili, originali ed importanti che ho fatto, anche generalmente apprezzate, le ho fatte gratis. Ho pubblicato una tesi sulle foibe, gratis, ho fatto un programma radio, gratis, ho tenuto un blog che la gente dice di trovare interessante, gratis, e ho scritto poesie, articoli, e un romanzo, gratis o quasi.
E intanto, lavoravo: cameriera, cassiera, modella (per corsi di pittura, sono troppo bassa e grossa per fare altro, con i tempi che corrono)… per lo meno, sono lavori che io trovo utili, anche se piuttosto noiosi. Ma ci sono lavori strapagati inutili o dannosi, pensiamo ai dirigenti delle banche che hanno contribuito al macello della crisi, e, a quanto ci raccontano i giornalisti, continuano a prendere stipendi d’oro. Anche fare il mafioso rende bene.
Uno potrebbe dire: le cose che scrivi tu, con cui vorresti guadagnare dei soldi, lo dici tu e i tuoi genitori che sono buone, magari sono schifezze, ed è giusto che il mercato non ti premi. Il mercato decide cosa deve essere retribuito e cosa no. In effetti il mercato premia centri commerciali, calzini cinesi, finanziamenti rischiosi, e Fabio Volo (aaarrrghhh). Non me e le mie farneticazioni.
Va bene, lasciamo stare me, in qualche modo resisto, mi arrangio. Però c’è qualcosa di veramente sbagliato in tutto quello che mi sta intorno: gente che supplica di poter produrre cose di cui potremmo tutti fare a meno, persone che guadagnano in maniera sproporzionata rispetto all’utilità sociale di quello che fanno, e l’enorme settore del gratis, da cui vengono fuori le cose migliori. Come se ne esce? Alla prossima puntata.


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