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È un intellettuale libero, anticonformista, geniale Pier Paolo Pasolini. Ha il coraggio di rovesciare i tavoli del pensiero unico e ipocrita dell’Italia cupa degli anni ’70. Quella delle stragi, dei depistaggi, dell’anticomunismo atlantico, degli intrecci tra mafia e politica con la manovalanza criminale di neofascisti e neonascente Banda della Magliana. Uno scrittore che racconta gli ultimi e denuncia i carnefici.
Le stragi di Piazza Fontana (1969), Piazza della Loggia (1974), Italicus (1974) seguono il drammatico inizio della strategia della tensione. Il 14 novembre 1974, sul Corriere della sera, Pasolini lancia il suo celebre “Io so”. Scrive: “(…) Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e Bologna dei primi mesi del 1974 (…). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove”.
Con le sue denunce Pasolini dimostra di essere in anticipo sulla Storia che, poi, purtroppo gli darà ragione. Ma lui non lo saprà mai perché la notte tra il 1° e 2 novembre 1975 viene barbaramente ucciso su una squallida spiaggia di Ostia, nella periferia romana.
Omicidio strano, pieno di punti oscuri. Un corpo martoriato da colpi contundenti e un assassino che non è sporco di sangue. Un Pasolini atletico che non riesce a difendersi dal suo esile killer. Un plantare destro ed una maglia verde trovate nella sua auto che non appartengono né a lui né al suo omicida. Più tracce di pneumatici sul luogo del delitto. Testimoni non ascoltati. Un delitto menzogna dato in pasto ad un Paese ampiamente bigotto e ad una classe dirigente pronta a svendere la propria dignità “a fin di bene”. Un’esecuzione efferata impunita. Tutto viene chiuso velocemente. Per chi semina bombe nelle piazze, sui treni e copre esecutori e mandanti, il gioco è fin troppo facile. Un’altra “operazione” da manuale. La fine di colui che sa viene spacciata come una morte squallida, quasi una storia da bar.
Nel Paese della verità postuma, trentaquattro anni dopo, però, iniziano ad emergere alcuni pezzi di un puzzle intuito da molti. Pier Paolo Pasolini non è stato ucciso da un ragazzino di borgata, ma da più persone. Che lo hanno trascinato fuori dall’auto, bloccato e massacrato di botte. Un agguato, un’esecuzione.
Nel 2009 presentiamo un’istanza di riapertura delle indagini. L’esame del DNA sui reperti del delitto conferma la presenza di altre persone. Non solo. Raccogliamo elementi su molti dei protagonisti di quella vicenda. Come quelli sui legami criminali di uno dei testimoni degli ultimi istanti di vita di Pasolini, legato alla Banda della Magliana. Prove nuove, importanti, ma il Tribunale di Roma decide di riaprire le indagini per poi archiviarle il 27 maggio 2015. Perché era gay, ieri. Perché è passato troppo tempo, oggi. Ma non è vero. Gli elementi per scoprire la verità sulla barbara esecuzione di uno dei più grandi intellettuali del ’900 ci sono. Nero su bianco. Con nomi e cognomi. Con nuove prove acquisite con le attuali metodologie. E’ necessario compiere solo una semplice azione: continuare ad indagare. Ciò che non è mai stato fatto in relazione al movente dell’omicidio.
Per questo motivo ci appelliamo ai presidenti di Camera e Senato, on. Laura Boldrini, sen. Pietro Grasso e a tutti i deputati della Repubblica perché – a 40 anni dall’omicidio di Pasolini – il Parlamento approvi, entro la fine del 2015, la proposta di legge n. 3150 ed istituisca una Commissione parlamentare d’inchiesta che, con i poteri investigativi dati dalla Costituzione, arrivi alla verità. Vogliamo sapere chi, come e perché è stato ucciso Pier Paolo Pasolini. Una risposta che pretende ogni cittadino che sosterrà la nostra battaglia firmando questa petizione, affermando con noi il principio che il tempo dell’oblio, dell’omertà, dell’esecuzione di Stato è finito e che Verità e Giustizia non sono una concessione, ma un diritto. Senza scadenza.
Avv. Stefano Maccioni (legale di Guido Mazzon, cugino di Pier Paolo Pasolini)