Magazine Società

Il parlamento ritocca le pensioni dei cittadini, ma si «dimentica» di toccare quelle dei politici

Creato il 31 agosto 2011 da Iljester

Il parlamento ritocca le pensioni dei cittadini, ma si «dimentica» di toccare quelle dei politici

La riforma in commento a quanto pare è saltata. Ma questo non sminuisce il contenuto di questo articolo.

Quattro anni di università, più un anno di leva sono cinque anni di contributi figurativi, che chiaramente devono essere riscattati dal contribuente previdenziale, affinché gli vengano riconosciuti come «marchette» della pensione. Questo almeno fino a oggi, perché da domani, probabilmente, il giovane che ha messo il culo sulla sedia per prendersi una benedetta laurea (che in Italia spesso ha meno valore di un rotolo di carta igienica), e il giovane che ha dato – obbligatoriamente – un anno della sua vita al servizio della Patria, dovranno rassegnarsi a cancellare quegli anni dalla pensione nel calcolo degli anni di anzianità. Conseguentemente, il giovane, quando arriverà il momento, andrà in pensione molto più tardi, e cioè con gli anni effettivi lavorati e non con quelli lavorati più i figurativi.
Una bella fregatura, in parte mitigata dal fatto che comunque quegli anni lì verranno utilizzati per calcolare l’assegno della pensione. Nel senso che il vitalizio pensionistico sarà comunque rapportato anche agli anni di studio all’università e all’anno del servizio di leva.
Ma chiaramente è una consolazione magrina, se pensiamo che l’aspettativa pensionistica – rispetto all’aspettativa di vita di settantacinque anni – rasenterà i settant’anni. E forse anche di più, tenendo presente che oggigiorno i giovani fanno ingresso nel mondo del lavoro alle soglie dei trent’anni.
Le alternative? Beh, credo non ce ne siano. Guardiamoci un po’ intorno. Se il nostro paese non è sull’orlo del collasso, poco ci manca. Decenni di Bengodi catto-comunista, decenni di politiche sociali volte più a creare caste privilegiate che schiere di cittadini con diritti basilari, decenni di europeismo stolto e miope e decenni di sprechi sociali, hanno portato l’Italia verso l’inevitabile sforbiciata. E sorrido amaramente – dico: sorrido amaramente, per non incazzarmi! – quando sento starnazzare i centri sociali e i sindacati rossi, che parlano di «golpe» del Governo. Diamine! Ma di chi è la colpa di tutto questo? Di chi è la colpa dei Bengodi pensionistici? Chi c’era nelle piazze e nel palazzo negli anni ‘60 e ‘70, quando è stato piantato il seme della disgrazia attuale? C’erano il PCI e la CGIL. C’era la DC e la CISL, e c’erano i socialisti e la UIL. Il decennio degli anni ‘60 è il decennio dei primi governi di centrosinistra, è il decennio del consociativismo catto-comunista, è il decennio delle grandi riforme sociali che nel tempo si sono rivelate, per il loro profilo marxista-leninista, l’inevitabile sentenza di condanna per le generazioni future. Per la nostra generazione e per quella successiva.
È facile oggi dare la colpa a Berlusconi, l’uomo che, nei miti dei salotti radical chic della sinistra dalla memoria corta, incarna – per comodità – tutti i mali d’Italia. Ma il vero è che chi punta il dito – la sinistra – sa bene che le porcate maggiori che hanno causato i danni attuali sono stati fatti con l’impulso e la compiacenza delle politiche sinistre. Il mito della spesa pubblica infinita è un mito della sinistra. Il mito che lo Stato debba accudire il cittadino dalla nascita alla morte, è un mito della sinistra. Il mito che tutto debba essere pagato con i soldi del contribuente, è un mito della sinistra. Il mito delle tasse è un mito della sinistra. Il mito del lavoratore senza doveri e con soli diritti, è un mito della sinistra. Insomma, se vediamo bene, un sano liberalismo reaganiano e tatcheriano avrebbe oggi mitigato e non poco l’impatto negativo della crisi economica. E invece, inseguendo comunisti e sindacati, arranchiamo e dobbiamo fare manovre economiche dolorose e di pesante impatto sulle aspettative dei giovani cittadini, fregati con il precariato e con una pensione da calende greche.
Manovre lacrime e sangue, dunque. Manovre che però – guarda caso – non toccano mai i politici (bipartisan). I quali si sono guardati bene dal mettere mano ai criteri per ottenere la pensione da parlamentare o da consigliere regionale. Che rimane sempre quella: più o meno due anni di «duro» lavoro in parlamento o in giunta regionale, che determinano un vitalizio di duemilacinquecento euro al mese (alla faccia del settantenne che non si vede riconosciuta nemmeno la naja per il calcolo degli anni di anzianità!), senza contare gli altri privilegi passati, presenti e futuri. Qualcuno – Giordano – ha fatto due calcoli. Se il Governo avesse messo mano anche ai vitalizi di deputati, senatori e consiglieri, lo Stato nel primo anno di riforma avrebbe risparmiato 200 milioni di euro. E forse – dico forse – a noi, che per avere la metà e forse qualcosa di meno del vitalizio pensionistico di un parlamentare, dopo decenni di lavoro in fabbrica e in ufficio, avrebbe permesso di riscattare gli anni passati sui libri e a marciare nelle caserme… Forse.

 

di Martino © 2011 Il Jester 


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :