Franco Battiato
Il più lo deve ancora fare, dopo il tormentato travaglio che lo ha portato ad essere un vecchio prodotto delle elaborazioni di quel genio della politica qual è Antonello Cracolici e quell’altro genio del sicilianismo quale è e sarà Raffaele Lombardo. Un travaglio durato anni perché a mano a mano si picconava sul sistema dei partiti della penisola e del continente, loro, con altrettanta se non maggiore fatica, costruivano il futuro, pensavano al dopo elezioni.
Vi ricordate quando, qualche tempo fa, Lombardo mandò i sindaci a cambiare i nomi alle piazze e a distruggere i simboli della nostra storia nazionale? Fu allora che abbiamo avuto la certezza che non solo le ideologie erano morte, ma che, con esse, erano anche sparite le tracce della nostra memoria. Il fenomeno ci diede il segno dell’idiozia sicilianista e dell’Alzheimer che aveva colpito la politica. I nostri leader ne furono i portabandiera. Così, a livello nazionale, è arrivato Monti, simbolo di una politica ridotta a macchina, disumanizzata, allo stesso modo di come Marchionne è prodotto del livello cerebroleso dell’impresa senza anima, senza il valore primario del lavoro e dei principi su cui si regge lo Stato.
Rotto ogni argine in questa nostra società anomica, ciascuno si salva come può. E ai partiti subentrano le persone. Fare politica è diventato un gioco nominalistico, dentro una trappola piramidale in cui i giochi sono sempre fatti dall’alto, anche se siamo indotti a ritenere che essi partono dal basso, perché saremmo noi a decidere. Falso. Mille volte falso. Se aprite un sito dove si gioca alle primarie, vedrete, senza difficoltà, che le facce sono già lì e sono il frutto di elaborazioni a tavolino. In alcuni casi neanche questo tentativo si nota.
Gli ultimi sono Grillo e Crocetta. Il primo ha sfondato su scala nazionale, il secondo su scala regionale.
Ora abbiamo a che fare con questi liberi battitori che costituiscono una classe che elabora i modi della sua esistenza non sui bisogni della gente, ma su quelli di un ceto privilegiato che ha due contrapposte caratteristiche: essere l’audens di tacitiana memoria oppure un indotto simbolico di continuità. Nel primo caso la persona e la sua iniziativa ha sostituito l’ideologia. Ha intrapreso un percorso di radicale sommovimento in cui lo schema d’azione è teatrale: palcoscenico con quelli che ci stanno dentro e platea educata ad applaudire. Il grillismo è una grande recita il cui palcoscenico è l’Italia e i cui spettatori sono gli italiani. Non un programma, non dei valori, ma solo un canovaccio su cui recita il suo attore principale
E’ interessante notare il ruolo delle comparse sulla scena. E’ quello dei finti moralisti. Vogliono governare, ma non contaminarsi. Solo che, dietro le quinte, i pupari si danno la mano al momento opportuno. Come succede, oggi, tra Grillo e Di Pietro alle prese con l’accusa di una gestione privatistica dei cosiddetti rimborsi elettorali. E con altro.
Anche Crocetta vorrebbe fare l’attore solitario sulla scena. A Gela c’è riuscito. Ma palazzo dei Normanni non è la stessa cosa. L’Ars è un gigantesco tritacarne. Vi sono stati stritolati nei secoli re, viceré, baroni e principi, galantuomini e plebei. Persino un intellettuale come Sciascia dovette abbandonarne di corsa le sale per non rimanervi invischiato. Il parlamento più antico dell’Europa si è specializzato nel tempo ad essere luogo del compromesso e della mediazione, della vertenza eterna con lo Stato, dell’attesa e dell’intrigo, della verifica occhiuta dell’avversario o dell’ipotetico nemico. Luogo d’ingrasso e di privilegio, di prebende e di clientela. Una struttura elefantiaca denunciata già sessant’anni fa da quell’acuto osservatore delle cose siciliane quale fu Danilo Dolci. Senza esito alcuno.
Crocetta, il futuro governatore sa queste cose. E forse, per non fare errori irrimediabili, gli farebbe bene leggere non i soliti manuali autocelebrativi dell’autonomia siciliana, ma documenti e atti che provengono da luoghi non divulgativi. Dovrebbe capire, prima di tutto, che il governo non è un insieme di persone, sia pure rispettabili, non è un fatto nominalistico che evochi l’antimafia. L’antimafia non deve mai servire a costruire carriere. E’ un insieme di competenze politico-istituzionali che rispondono esclusivamente ai reali bisogni della Sicilia, di chi in questa regione bella ma sfortunata lavora e produce, dei disoccupati, dei giovani ricercatori costretti a emigrare, delle innumerevoli risorse che esistono e si sprecano con l’inerzia e la miopia della classe politica che abbiamo.
Perciò il neogovernatore lasci che Franco Battiato faccia il cantante, non lo destini ad altro compito. Lo farebbe male. Come lo farebbero male tutti coloro che vengono scelti non per la specifica competenza in un ramo governativo e per la loro capacità di progetto politico e sociale, ma solo per l’appartenza. Sarebbero certo elementi di discontinuità, ma non credo proprio che a garantirla basterebbero uomini come Cracolici o Lumia, che con il passato hanno tutto in comune. Hanno vinto le lezioni? No, hanno perso.
In queste elezioni ha vinto la condanna di tutto il popolo siciliano verso una classe dirigente che, nonostante la crisi che attanaglia l’isola, non ha saputo darci, tranne qualche chiacchiera o battuta, nessuna idea di futuro.
Giuseppe Casarrubea