La messa in scena del testo di Antonio Diana è sembrata una sperimentazione molto coraggiosa, molto sentita, molto studiata. Anche troppo forse. Il testo ci lancia in una spirale vorticosa da un presente di guerra e resistenza a un passato di ricchezza economica e sociale, culturale, artistica, in cui i teatri erano pieni, gli attori recitavano con gloria e soddisfazione, lavoravano! Quello che rimane adesso sono solo macerie, ricordi, echi che si annidano negli angoli polverosi dei camerini, dei fuori scena, fra gli abiti invecchiati e sgualciti, un tempo scintillanti e vivi; questi attori oggi in fin di vita sembrano non trovare più un linguaggio per raccontare….per parlare…per dire…..cosa? E come? Tra una quinta e l’altra appaiono le ombre di una Medea, uno Iago, un Don Giovanni e ci parlano emozionandoci ancora, ma non basta: ci serve altro, ci serve un racconto reale, una storia vera, che si intreccia con un’altra vita, quella creata dall’uomo-attore che adesso va in scena. E noi vogliamo sentire chi è costui, che cosa fa e anche questo ci smuove, ci appassiona. Si succedono scene, prove e improvvisazioni di questi quattro attori che stanno per morire e rappresentano tutti, la loro categoria: il teatro. Quello che accade a loro accade a noi, stiamo per morire e non sappiamo dove andare, non sappiamo neanche bene di chi è la colpa, se c’è una colpa: semplicemente arranchiamo! Le idee di questo testo sono forti, sono laceranti, a volte difficili da ascoltare e metabolizzare, ma il linguaggio-parola arriva; il modo in cui tutto ciò viene articolato, tramite il montaggio delle scene e la scelta del cercare di mettere insieme più generi, risulta a volte confusionario. I temi diventano improvvisamente troppi, le scene troppo distaccate l’una dall’altra, per cui lo spettatore si trova disorientato di fronte alla volontà, se pur molto apprezzata, di rendere vicine dimensioni lontane nello spazio-tempo. Gli attori sono riusciti a ricreare bene momenti di grande intensità, soprattutto nei monologhi, ma sembravano succubi di una volontà più grande di loro che appariva esageratamente forzata nel rendere tutto troppo chiaro, troppo netto, troppo spiegato. La scelta del genere musicale con cui si cercava di amalgamare ogni scena, sebbene abbia esaltato le notevoli qualità canore del cast, è risultata anch’essa decisamente opinabile; soprattutto si è creato un contrasto tra la necessità di meno parole, meno testo, dello spogliare e rendere scarno il teatro cercando un nuovo attore/nuovo uomo, con questa scelta di creare ancora, troppo, di dire troppo, di aggiungere qualcosa che non c’è da aggiungere. Non si è vista una fine, perché non c’è una fine a questo dilemma; c’è una porta aperta dalla quale questi quattro attori denudati del loro sudario, dal quale si erano strappati sin dall’inizio, escono e passano, ma passano senza conoscere una direzione. Rimane il disorientamento e noi ci chiediamo: cos’è che è ancora rimasto da togliere?
Valentina Nesi
IL PASSAGGIO, L'ECO DI TEATRO OCCUPATOscritto e diretto da Antonio Dianacon Antonio Diana, Mariano Riccio, Mario Piana, Arianna Luzimusiche di Antonio Diana
dall'8 al 13 ottobre presso
TEATRO MILLELIREvia Ruggero De Lauria 22 - RomaBiglietti: intero 12€ - ridotto 10€www.millelire.org – 0639751063 – 3332911132