Il pasticcio kazako (chi abbiamo messo al governo?)

Creato il 15 luglio 2013 da Tafanus


Amiconi: Nursultan Nazarbaev e Silvio Berlusconi

Troppi errori e omissioni senza colpevoli, troppe ombre senza spiegazione. E' arrivato il momento di PRETENDERE spiegazioni sensate. Da TUTTI (Fonte: Giuseppe Sarcina - Archivio Storico Corsera)
Sarà difficile spiegare ai nostri partner europei e internazionali come sia stato possibile confezionare il «pasticcio kazako». La nota che è stata diffusa al termine del vertice a Palazzo Chigi in pratica autoassolve il livello politico. Nessuno dei ministri competenti, compreso il titolare dell'Interno, Angelino Alfano, sarebbe stato messo al corrente delle operazioni che hanno portato all'espulsione di Alma Shalabayeva e della piccola Alua, 6 anni, moglie e figlia del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov. Ne uscirebbero molto male, stando alle ultime ricostruzioni, gli apparati dello Stato, gli alti gradi dei ministeri degli Interni e degli Esteri. Il problema è che le cancellerie europee e organismi come l'Alto Commissario dell'Onu per i rifugiati non fanno troppi distinguo: sono abituati ad attribuire la paternità degli atti giuridico-diplomatici direttamente al potere politico di un Paese. E dunque questo si aspettano sempre anche da uno Stato pienamente democratico come l'Italia.
Le prime reazioni negli ambienti europei sono state di sconcerto, mentre la stampa internazionale, con il quotidiano inglese Financial Times in testa, ha subito accusato l'Italia di aver voluto compiacere il presidente autocrate del Kazakistan, Nursultan Nazarbaev, 73 anni, padrone di un Paese ricco di petrolio. E in effetti, quand'anche si sarà dimostrata la completa estraneità alla vicenda del ministro Alfano, da qui bisogna partire. Nei due giorni in cui è maturato l'ordine di espulsione di Alma Shalabayeva, l'ambasciatore del Kazakistan, Andrian Yelemessov, ha svolto un insolito ruolo di suggeritore, esercitando forti pressioni sulla polizia italiana. Fin troppo facile l'accusa che le organizzazioni umanitarie, parte dell'opinione pubblica europea rinfacceranno al governo italiano.
Nazarbaev è un amico personale di Silvio Berlusconi e partner d'affari dell'Eni: ha chiesto un favore e lo ha ottenuto. Certo, il «favore», in realtà è un mandato di cattura spiccato dalle autorità giudiziarie di Kazakistan, Russia e Ucraina riversato nel bollettino delle ricerche Interpol. Nessuno, però, negli organi di polizia incaricati di eseguire la cattura si è posto il problema di approfondire il dossier Ablyazov. Anzi, le informazioni per localizzarlo sono venute dall'ambasciata del Kazakistan, che lo ha definito un pericoloso latitante, scortato da uomini armati. Ora sarà difficile spiegare perché funzionari collaudati come quelli italiani non abbiano sentito il bisogno di fare una verifica. Non stiamo parlando di chissà quali manovre di intelligence. Sarebbe bastato cliccare il nome Ablyazov su Google per scoprire che il Regno Unito gli aveva concesso asilo politico già nel 2009. Da lì poi, con una semplice telefonata a Londra, gli stessi funzionari avrebbero saputo che la «metropolitan police» già nel gennaio 2011 aveva inviato al dissidente kazako un avviso «di pericolo imminente».
Ma le fonti di imbarazzo non finiscono qui. Rimane da chiarire perché le autorità italiane abbiano deciso di procedere all'espulsione della moglie e della bambina con una velocità che non viene riservata (giustamente) neanche ai boss più pericolosi. In quei giorni di fine maggio gli svarioni, i controlli superficiali si sono susseguiti rimbalzando tra gli uffici della Farnesina e del ministero dell'Interno. La donna fermata era in preda al panico e sicuramente ha alimentato la confusione, mostrando una serie di documenti di varia provenienza. Motivo in più per congedare l'ambasciatore kazako e prendersi tutto il tempo necessario per studiare la vicenda. I nostri funzionari avrebbero capito che si poteva concedere alla signora Shalabayeva una forma di «protezione sussidiaria», come previsto dalle norme europee. Non solo. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, sede a Strasburgo, ha vietato la riconsegna al Kazakistan anche di spietati criminali (fosse anche un nuovo Jack lo Squartatore), ma perseguiti per motivi politici. A maggior ragione, dunque, non si capisce chi (e perché) abbia avuto tanta fretta di spedire in quello stesso Paese le due donne. Scelte ed errori gravi che hanno già danneggiato la reputazione internazionale dell'Italia.
(Giuseppe Sarcina - Corriere)


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