Un’età si giudica non soltanto da ciò che produce, ma anche, forse anche più, da ciò che valuta, e soprattutto da ciò che rivaluta nel passato. Poiché ci sono geni supremi e anche maestri minori che, grazie al loro vasto appello umano, godono una certa popolarità in ogni tempo: non questi sono gl’indici del gusto, quanto quegli eccentrici le cui quotazioni, per esprimerci in termini di borsa, subiscono oscillazioni violente. Costoro sembrano passare come comete nell’età in cui vissero, con un bagliore che ha del prodigioso, poi scompaiono, pare, dal firmamento; nessuno parla più di essi se non come di fenomeni transitori e assurdi, finché viene l’età che li apprezza e li ama più delle stelle fisse. t stato il caso del poeta secentesco John Donne in Inghilterra, che, celebrato ai tempi suoi come monarca dell’arguzia, citato poi come esempio vitando di stravaganza e ignorato dai più, è stato riscoperto quarant’anni or sono, e indi ha pervaso di sé la poesia inglese moderna fino ad oggi. I casi del marchese di Sade e dell’artista svizzero Johann Heinrich Füssli sono altrettanto istruttivi. Ignorato, veramente, il marchese di Sade non lo è stato mai se non in apparenza, ché ha sempre avuto una circolazione clandestina limitata e inconfessabile, ma a riesumarlo dagl’inferni delle biblioteche e dalle chiaviche della letteratura han pensato i moderni, i surrealisti in specie che l’hanno esaltato come pensatore, filosofo, e perfino (per incredibile che sembri) come stilista. Non dico che il gusto per Sade sia molto diffuso, ché i suoi testi per forza di cose rimarranno sempre piuttosto inaccessibili, ma da quale altra generazione aveva incontrato simili riconoscimenti? Il Füssli non è il Sade, ma da quel che ha di comune e di affine con lui può trarsi la conclusione circa il gusto di coloro che han rivalutato entrambi.
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Mario Praz è un prosatore ingegnoso che cerca la bellezza di continuo. Nelle sue pagine si trovano maree di aneddoti, citazioni e personaggi secondari che sembrano vivere solo nella sua stravagante biblioteca-labirinto. Pietro Citati ha scritto che Praz ha la stessa forma mentis di Borges e in effetti, leggendolo, si ha l’impressione di come tutte le finzioni raccontate siano tutte vere e le verità tutte finte…
E’ noto come Praz sia stato un critico letterario alquanto singolare e fuori del comune. Di lui colpisce, nel testo (sbalorditivo ne Il patto col serpente), il complesso intreccio e intarsio di associazioni e analogie, di accostamenti e spunti apparentemente superficiali. E’ straordinario come di un’opera ci riveli i lineamenti più segreti e imprevisti (e, magari, bizzarri).
“Una sola cosa è veramente necessaria”, scriveva. “Bisogna conoscere moltissimi libri. Tutta la letteratura inglese, francese, russa, italiana, spagnola e tedesca, in primo luogo: anche quei minori, senza i quali non si apprezza il profumo di un’ epoca. Ma come si possono ignorare i greci e i latini? Senza Omero e Pindaro, Virgilio e Ovidio, Apuleio e Agostino, non si capisce assolutamente nulla della letteratura occidentale. E la Bibbia? E il Corano e le Mille e una notte e gli storici arabi? E la letteratura persiana, che insegna a ciascuno di noi l’ arte della mistica e quella della metafora? E il Tao, i romanzi taoisti e la Murasaki, che ci apprendono il dono supremo, quello del Vuoto? Una strana amicizia I libri hanno una strana amicizia l’uno per l’ altro. Se li chiudiamo nella mente di una persona bene educata (un critico è soltanto questo), lì al chiuso, al caldo, serrati, provano un’ allegria, una felicità come noi, esseri umani, non abbiamo mai conosciuto. Scoprono di assomigliarsi l’uno l’ altro. E ognuno di loro lancia frecce, bagliori di gioia verso gli altri libri che sembrano (e sono e non sono) simili. Così la mente che li raccoglie è gremita di lampi, di analogie, di rapporti, di corti circuiti, che finiscono per traboccare. La buona critica letteraria non è altro che questo: la scoperta della gioia dei libri che si assomigliano”.
Mario Praz, Il patto col serpente, Biblioteca Adelphi, Adelphi, 2013.