Il “patto del toscano”. Bossi e Tremonti si fumarono “Cesare”.
Creato il 16 luglio 2010 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Lo chiamano “Cesare”. Chiamarlo “Benito” sarebbe stato un gioco scoperto, “Santità” si sarebbe equivocato, “Gengis Kan”, un insulto al leader tartaro e così, tanto per confermare la fama di imperator, i “quattro pensionati rincoglioniti” hanno pensato di chiamare Silvio “Cesare”, un nome che si porta appresso una grande storia ma anche una pessima fine. Dentro questa “cricca avvelenata” ci sono proprio tutti: faccendieri, mafiosi, camorristi, politici, alti ufficiali, cardinali, imprenditori a vario titolo, profittatori, mezzani, procacciatori, ragionieri, geometri, avvocati, cardiologi, urologi, andrologi e cospiratori; c’è, insomma, tutto il campionario di quelli che avevano reso ricca e famosa la loggia massonica P2. Con Flavio Carboni in galera stiamo assistendo a una vera e propria morìa di giudici: c’è chi è sottoposto a procedimento disciplinare, chi ha chiesto di andare in pensione, chi ci è andato il giorno prima che scoppiasse il casino e chi invece resta e dice: “Sono innocente e lo dimostrerò” tanto per mantenere un minimo di dignità per il buon nome della famiglia. Le intercettazioni (sempre e solo colpa loro), stanno facendo emergere esattamente quello che accade nell’era EB, quella di Silvio Berlusconi. Il malaffare che parte dal Capo si è sparso a macchia d’olio su tutto il sistema politico-imprenditoriale provocando da una parte un’evasione fiscale da Guinnes dei primati e dall’altra, come diretta conseguenza, la fine del welfare, di quello stato assistenziale cardine di tutte le democrazie che vogliano ritenersi tali e che risponde all’esigenza di dare una mano a chi proprio non ce la fa. Oltre 200 miliardi di “sommerso”, ancora oltre 200 miliardi di evasione ed ecco la ragione per la quale questo paese naviga a vista e i porti turistici sono pieni di barche. A fronte di questo sfacelo totale, per porre rimedio al quale occorreranno generazioni di italiani di buona volontà, mogi mogi quatti quatti, ci sono coloro che stanno pensando seriamente al dopo Silvio. D’altronde Berlusconi sta facendo di tutto per accelerare la sua fine convinto com’è di trovarsi ancora a capo di un’armata quando, a conti fatti, gli sono rimasti fedeli Bonaiuti, Bondi, La Russa, Gasparri e Capezzone (su Gianni Letta e Fabrizio Cicchitto non ci metteremmo la mano sul fuoco). Nonostante Bossi continui a difenderlo in ogni circostanza e perfino sui fatti indifendibili, quasi un anno fa sembra sia accaduto quello che, con tutta probabilità, passerà alla storia come il “patto del Toscano”, laddove per “toscano” si deve intendere il sigaro più famoso della nostra cultura fumaiola. Un anno fa, dicevamo, Umberto Bossi si trovava spaparanzato su un divano del Transatlantico intento a fumarsi il suo amato sigaro. Per puro caso, a volte il destino è fatto di piccole coincidenze, si è trovato a passare di lì Giulio Tremonti che, ci dicono, non disdegna una boccata una-tantum (come i suoi ripetuti condoni), dello stesso sigaro. Una parola tira l’altra, la gara fra chi disegna con il fumo il cerchio più grande si fa serrata quando Tremonti dice a Bossi: “Ma non ti sembra che Silvio sia alla frutta?” Bossi annuisce e, fra un colpo di tosse e l’altro dice: “Credo sia arrivata l’ora”. Bossi che, nonostante l’apparenza dimessa, è un furbo di quattro cotte, capisce al volo che è giunto il momento di liberarsi del frequentatore di minorenni, dall’amico di Gheddafi e di Putin, dall’estimatore di Topolanek in piena forma e da quel “ghe pensi mi” che a lui è sempre stato cordialmente sulle palle. Capiscono, i due fumatori, che Silvio si sta fregando da solo e che non occorre dargli alcuna spallata considerate le bestie che si ritrova intorno. Appena alzati dal divano, Bossi e Tremonti iniziano l’opera sottile di demolizione del Capo colpendolo innanzitutto dove Silvio tiene ben chiuso il suo potere: il salvadanaio. Di fatto, da un anno, Giulio Tremonti ha “commissariato” Palazzo Chigi impedendogli di attingere a piene mani alle infinite risorse di cui gode il Segretariato della presidenza del consiglio. Ma Giulio, che ha il sogno neppure troppo nascosto di prendere il posto di Silvio, continua la sua opera di erosione ed elabora una finanziaria geniale, una legge che scontenta tutti in nome della rigidità dei conti, delle pressioni europee, della crisi mondiale sempre negata e che agita lo spauracchio “Grecia” per tacitare i sospettosi. Le Regioni sono allo sbando e, la politica populista della lotta alle auto blu che il Tg1 sta rilanciando in questi giorni, sembra stia facendo colpo sugli italiani più dei sogni dispensati a piene mani da Silvio. La lotta ai presunti sprechi è diventato, insomma, il cavallo di battaglia di Tremonti, e l’aspetto che, nel gradimento degli italiani, lo pone ben al di sopra dello stesso Capo. Ora, a fronte dell’ennesimo scandalo, delle alzate di scudo dell’Onu e della Commissione di Giustizia europea sulla libertà in Italia, gli scenari possibili sembrano essere due: il rimpasto di un governo che sta perdendo pezzi come la Duna della Fiat con a capo sempre Berlusconi (Berlusconi-Bis), o un governo di carattere tecnico-istituzionale alla cui guida potrebbe andare Mario Draghi (ripetendo quanto accaduto anni fa con Ciampi) o lo stesso Tremonti che scalpita come un puledro arabo in una stalla di cavalle alsaziane. Lo scenario che abbiamo di fronte, qualunque sarà l’epilogo finale, è da incubo. Ancora Berlusconi presidente ci tirerebbe addosso le risate di tutto il mondo, un governo Draghi ci metterebbe nelle condizioni di dire addio in maniera definitiva a quel poco di welfare rimasto in Italia, quello di Tremonti sarebbe un governo folle, ma non quella follia “sana” che contraddistingue i geni, ma quella patologica che fa dire a Niki Vendola: “Tremonti non è il rimedio, è il male”.
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