Le giornate finalmente stanno iniziando ad allungarsi e la mattina quando parto c’è già un po’ di luce. Menomale, perché se avessi incontrato un paio di mesi fa il personaggio di stamani, quando ancora era buio pesto, sarei scappata a gambe levate.
E’ seduto nell’ultima panchina lungo il marciapiede, ai limiti della pensilina. Tiene le gambe accavallate, la schiena è curva e la testa bassa. E’ vestito completamente di nero e ha con sé uno zaino, che tiene vicino al suo fianco destro sulla panchina. Non capisco se sia un uomo o una donna. Il grosso cappuccio del suo giubbotto copre quasi tutto il volto e getta un’ombra scura sulla parte inferiore, teoricamente visibile.
Si massaggia continuamente le mani, come si fa quando ci si dà la crema, per farla assorbire, ma l’ostinata ripetizione dei movimenti dei polsi e delle dita e il ritmo preciso rendono quel semplice gesto innaturale e inquietante. Osservo meglio, le mani sono piccole e sottili, questo mi fa pensare che si tratti di una donna, ma non ne sono sicura. La carnagione è leggermente olivastra. Sbirciando (da lontano!) dentro al cappuccio mi accorgo che le labbra si stanno muovendo. Faccio qualche passo nella sua direzione e presto attenzione per cercare di sentire. Apparentemente sta parlando da solo. Una cantilena monotona, con un’intonazione tra l’irritato e il minaccioso.
A un certo punto dalla tasca del giubbotto estrae una busta da lettera, è piegata a metà e dal suo volume intuisco che deve contenere diversi fogli. La osserva per qualche istante, sempre parlottando. Il volume è molto basso, non riesco a sentire cosa dice e nemmeno a capire la lingua. Con le mani gira e rigira la busta, mi accorgo che su un lato c’è scritto qualcosa a mano, probabilmente l’indirizzo del destinatario. Dall’altra tasca estrae quindi un accendino, con cui incendia la busta. Per un po’ la tiene sospesa con la mano sinistra, osservando le fiamme che la avvolgono e la divorano. Mi pare di vedere le piccole fiamme riflettersi, rosse, sui suoi occhi arrabbiati, ma questa probabilmente è solo una mia suggestione. Quando ormai non può più tenerla, la lascia cadere in terra. L’odore della carta bruciata si spande lungo la banchina. Mentre il fuoco finisce di consumare la busta e il suo contenuto, trasformandoli in fragili farfalle di cenere che volano verso l’ingresso del sottopassaggio, l’oscuro personaggio continua il suo sommesso monologo e riprende a massaggiarsi le mani.
Finalmente arriva il treno, la gente inizia a muoversi, lui rimane seduto sulla panchina, con le gambe accavallate e la schiena curva. Lo perdo di vista mentre salgo in treno, entro nella carrozza e mi siedo. Appena sistemata, mi affaccio dal finestrino e guardo verso l’ultima panchina, ma il pendolare oscuro non c’è più…