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Il pessimista

Da Ultimafila22

di Giacomo Pagone

 

<<Come si vede tra dieci anni?>>

<<Ubriaco mentre mi sparo un colpo di pistola in testa>>

Lo psicologo aziendale, addetto alla valutazione del mio comportamento, di fronte al quale stavo discutendo la parte finale del mio colloquio d’assunzione, mi guardò inebetito. Gli occhialini dalle lenti quadrate gli erano scivolati sulla punta del naso, la bocca contratta in un’espressione di stupore, circondata da un pizzetto brizzolato, i pochi capelli rimastigli in testa rizzatisi per la sorpresa. In quel momento capii che non avrei ottenuto il posto, ma mi sentii lo stesso in dovere di dare una spiegazione.

<<Beh, vede dottore, potrei darle una risposta banale, come sicuramente avranno fatto gli altri candidati prima di me. Potrei dirle che, tra dieci anni, io mi vedo con un lavoro di successo, mentre, nel fine settimana, lascio la mia villetta a schiera con doppio giardino (davanti e di dietro, proprio come nei film!), e salgo nella mia comoda e lussuosa station wagon di marca tedesca. Certo, potrei aggiungere che, dopo aver sistemato i miei tre bambini silenziosi e sorridenti, biondi e con gli occhi azzurri, due maschi e una femmina, io vada ad aprire la portiera del passeggero per permettere alla mia splendida moglie (anch’essa bionda e con gli occhi azzurri) di entrare in macchina. Infine, potrei concludere dicendole che, dopo aver caricato anche il mio cane di razza purissima (con tanto di pedigree alla mano), mi vedrei in partenza per la mia splendida casetta di legno in riva al mare. O in montagna. No, al mare. I bambini preferiscono il mare alla montagna!>>

Lo psicologo continuava a guardarmi con gli occhi fuori dalle orbite, neanche gli avessi detto che tra dieci anni mi sarei visto mentre mettevo piede su Marte!

<<Dunque, dottore, mi segue? Io potrei dirle tutto questo, ma non lo farò!>>

<<Lei potrebbe… ma non…>> ripeté alienato il mio esaminatore,

<<Ma sì, è ovvio! Non coglie anche lei la facilità di tale menzogna?>>

<<E’ ovvio…?>>

<<Suvvia, dottore, mi segua. Quanti candidati ha esaminato prima di me, quest’oggi? Dunque, io sono l’ultimo, quindi dovrebbero essere stati dieci, quindici al massimo, dico bene?>>

<<Eh? Dice bene..?>> lo psicologo continuava a non seguirmi.

<<Dottore, si sente bene? Vuole un bicchier d’acqua?>>

<<No, no, grazie. Sto bene. Grazie>> disse, riacquistando un po’ di colore sul viso ectoplasmatico.

<<Benissimo. Dicevo: quanti candidati ha esaminato prima di me? Dieci? Quindici?>>

<<Sì, una quindicina direi. Ma temo di non capire dove voglia arrivare>>

<<Di questi quindici, quanti le hanno dato la mia stessa risposta?>>

<<Oh, beh, nessuno ovviamente!>>

<<Esatto! Quante risposte si confacevano di più alla seconda ipotesi da me prospettata? Quella con bimbi, moglie perfetta e cane di razza?>>

<<Beh, sì, diciamo che un po’ tutte erano simili a quella sua seconda risposta>>

<<E allora cosa ne deduce, dottore?>>

<<Cosa ne deduco?>>

<<Beh, è ovvio! Volevano far colpo su di lei>>

<<Lei no?>>

<<Oh sì, certamente. Anch’io vorrei far colpo su di lei e ottenere quel posto, ma so che non accadrà>>

<<Lei è un pessimista!>>

<<No, piuttosto mi definirei realista. Le spiego: questo colloquio è, evidentemente, partito col piede sbagliato, la mia sincerità è stata scambiata per pessimismo, probabilmente lei penserà a qualche irrisolto complesso d’Edipo o ad un’altra delle tante patologie che ci affibbiate voi discepoli del dottor Freud. Di conseguenza lei non mi valuterà idoneo a ricoprire questo incarico, di modo che il posto verrà assegnato ad un altro e io ci resterò così male che sarò costretto a rifugiare il mio dolore nell’alcool. La sbornia mi costringerà a dormire fino a tardi e, di conseguenza (vede la logica conseguenza, dottore?), salterò i colloqui fissati nei giorni successivi. Alla lunga, l’unione di alcool e delusione mi spingeranno in uno stato di depressione tale che il solo pensiero di fissare altri colloqui di lavoro non farà altro che causarmi il mal di testa. Per qualche mese, forse un anno, vivrò di rendita, ma, ben presto, tutti i soldi saranno stati investiti in liquori vari, costringendomi a dover abbandonare il mio monolocale in affitto, in seguito ad un avviso di sfratto che seguirà tutte le denunce di morosità, in quanto, senza soldi (mi segue dottore?) non avrò potuto pagare l’affitto di casa. Diventerò, quindi, un senzatetto: mi toccherà vivere in strada, cercando ogni notte rifugi di fortuna. Andrò girando di città in città, a volte a piedi, altre volte in treno, di nascosto, senza farmi vedere dal capotreno. Alla fine, dopo tanto peregrinare, deciderò di farla finita, ma, non avendo soldi non potrò acquistare una pistola. Motivo per cui sarò costretto ad elemosinare, forse anche a commettere piccoli furti (furti! L’avrebbe mai pensato, dottore, che sarei arrivato a tanto?!). Quando, infine, sarò riuscito a comperare, o a sgraffignare, una pistola, mi mancherà il coraggio e sarò costretto ad ubriacarmi per infondermi il coraggio di farla finita. E con questo le ho esposto il motivo della mia singolare risposta. Mi ha seguito, dottore?>>

<<Mio Dio, mi gira la testa!>>

<<Ma no, dottore, non dica così. Ci pensi bene. E’ una catena di eventi. Come nel domino: la caduta di una pedina determina la caduta della successiva, e così via, fino a quando anche l’ultima pedina sarà a terra>>

Detto ciò, mi alzai, strinsi la mano al dottore, quindi mi voltai e raggiunsi l’uscita. Prima di chiudermi la porta alle spalle lanciai un’ultima occhiata allo psicologo: era ancora seduto, con la mano tesa mentre ripeteva mentalmente la mia logorroica spiegazione. Sorrisi nel vedere quell’ometto (ora mi sembrava così vulnerabile!) muovere le labbra senza emettere alcun suono. Certe persone sono proprio strane!

Lo psicologo, però, non era stata la prima persona a darmi del “pessimista”. Sembrava, infatti, che io fossi circondato solo da ottimisti, o predicanti tali, i quali tentavano in ogni modo di guardare il bicchiere mezzo pieno. Trovavano una gomma dell’auto bucata? Meglio, facevano un po’ di moto sino al lavoro. Venivano licenziati perché arrivavano in ritardo? Finalmente, era una vita che sognavano di lasciare quel lavoro noioso! La moglie li lasciava e scappava, con i figli biondi, il cane di razza, la station wagon tedesca e il loro migliore amico? Ah libertà, tanto agognata libertà! Camminavano tra le nuvole o erano solamente e, irreversibilmente, pazzi?

Oh, ma io no. No, no, no! Oh, io ero diverso. Pessimista? No, io calcolavo razionalmente i possibili risvolti negativi. Quando da piccolo mi regalavano dei giocattoli che mi piacevano, io iniziavo a piangere, perché sapevo che, col tempo, si sarebbero usurati e rotti o gli avrei persi, o, infine, un altro bambino avrebbe potuto rubarmeli. Con le ragazze, valeva, di conseguenza, lo stesso discorso: non ero certo dotato di un fisico prestante, né, tantomeno di una mente brillante ed intuitiva. Non fosse stato per la mia logorroica parlantina, dubito che avrebbero potuto distinguermi da un qualunque elemento del mobilio di una stanza! A loro non interessavano le mie previsioni raziocinanti, volevano solo divertirsi senza pensare al domani.

E così ero cresciuto con la solitaria consapevolezza dell’avverarsi delle mie previsioni. Ci fu un periodo, verso i quindici anni, se non erro, in cui fui persino tacciato di essere uno iettatore. Successe in inverno, ricordo. La mia classe sarebbe partita, di lì a qualche giorno, per passare un allegro fine settimana in montagna per sciare. Io declinai l’invito, aggiungendo che c’era il rischio di cadere e rompersi una gamba. Bene, fu proprio quello che successe alla ragazza più popolare della mia classe, una certa Sally o Mindy Qualcosa, insomma una con un nome da pubblicità di biscotti (avete presente quelle pubblicità in cui tutta la famiglia è riunita al mattino per fare amorevolmente colazione? Come se nemmeno il crollo della cucina stessa potesse intaccare quella loro felicità artificiale!). Dicevo, quindi, che la povera Molly (sì, forse era Molly!), si ruppe una gamba e l’intera classe fu costretta a tornare a casa anticipatamente. A nulla valsero le mie spiegazioni circa la pericolosità di tale sport. Fui costretto a cambiare classe e tanti saluti alla saggezza!

Con gli anni, dunque, mi abituai alla solitudine. Il mio unico amico era un gatto arancione striato di rosso (immagino che tutti voi avreste scommesso sul fatto che il mio amico quadrupede fosse nero, vero?!). Questa bestiola, in realtà, era un randagio cui davo da mangiare quando lo sentivo miagolare sotto la finestra della mia casa. Non gli diedi mai un nome, per paura di affezionarmi troppo, perché se fosse, un giorno, sparito o morto, di sicuro ne avrei sofferto tanto!

Ebbene, dopo il colloquio con lo psicologo, andai al parco per sedermi in riva al laghetto delle papere. Niente aiuta a non pensare quanto guardare quelle goffe paperelle nuotare e azzuffarsi per un tozzo di pane gettato dal vecchietto di turno. Tutto in torno a me ronde di anziani che passeggiavano per il viale, o sedevano al bar o, ancora, discutevano di sport, per poi tacere inaspettatamente quando passava una loro coetanea e, quindi, dopo essersi tolti la coppola, in segno di saluto, riprendere i loro discorsi. Tutto ciò non poté, mio malgrado, non farmi pensare alla domanda dello psicologo. Come ti vedi tra dieci anni. Lui come si sarebbe visto tra dieci anni? E questi dolci vecchietti come si sarebbero visti dieci anni fa?

Il tempo è un triste nemico dei realisti come me! Ogni secondo segna profondamente le nostre menti e ci fa pensare a quello successivo e a quello dopo ancora. Come mi vedo tra dieci anni? Avrei avuto altri dieci anni? Del resto oggi basta un nonnulla! Se ne sentono di tutti colori al telegiornale: vai a fare la spesa e un pazzo ti spara, torni a casa e crolla il palazzo, fai una crociera e ti rapiscono i pirati! I pirati! Chissà se portano ancora bandane, gambe di legno e pappagalli sulla spalla?!

In questo mondo di folli, cosiddetti “ottimisti”, essere un realista come me, ormai, è quasi un mestiere, siamo noi la zavorra che tiene ancorati quei sempre sorridenti individui alla vita di tutti i giorni! Come mi vedo tra dieci anni? Ubriaco mentre mi sparo un colpo di pistola in testa. Sì, quella era stata la risposta più giusta, la più esatta. Al diavolo chi pensava che io fossi pessimista! La vita continua, si susseguono le stagioni, nascono bambini, muoiono persone, ci si sposa, si soffre, si ama. Dopotutto, quanto avrebbe potuto essere importante sapere come un realista si sarebbe visto tra dieci anni?

Ah, quasi dimenticavo! Alla fine ottenni quel posto di lavoro. Il direttore mi disse che lo psicologo gli aveva confidato che io, meglio di tutti gli altri candidati, avrei saputo prevedere i rischi di determinati investimenti. Roba da matti! A volte la sincerità paga ancora!


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