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Il pettirosso

Creato il 05 gennaio 2012 da Annalife @Annalisa

Nesbo, Il PettirossoDei miei problemi con i nomi nordici, ho già parlato. Poi, non so, si ha l’impressione che i nordici siano così pochi che si siano, in passato, sposati tutti tra loro, perciò, oltre all’estraneità dei suoni, c’è anche il fatto che i cognomi sono simili, o uguali (Gudeson, Gudbrand, Brandaugh, argh) .
Però questo di Nesbø è un giallo che mi sono goduta nonostante queste e altre difficoltà. Prima fra tutte, il montaggio che l’autore fa tra la storia presente (1999-2000) e la Storia passata (1942-1945). Una storia nella Storia che non conoscevo granché, perché chi mai si occupa specificamente della Norvegia nella seconda guerra mondiale? Chi mai sa distinguere tra i collaborazionisti, i patrioti, i resistenti, i filonazisti, e quelli che, disinvoltamente o meno, passano da una parte all’altra della barricata ideale?
In ogni modo, a me questo montaggio col passato piace molto, e la storia di guerra si segue con interesse, perché racconta del fronte, del modo in cui i soldati semplici affrontano e superano (o meno) ciò che accade, si parlano, si uccidono, complottano, sono feriti, fuggono, tornano, si innamorano e così via. Si perde il filo, però, quando qualcuno muore, qualcuno è ferito, qualcuno guarisce, qualcuno no, e tutti questi “qualcuno” si chiamano (esempio) Daniel Gudeson oppure Gudbrand (che viene citato circa duecento volte soltanto per cognome, e il cui cognome -se capovolto- assomiglia pericolosamente a Brandaugh, che però è un personaggio della storia più recente). Insomma, bisogna cercare di procedere ugualmente, anche perché, nonostante quello che ho appena detto, il racconto scorre e si può seguire.
In parallelo, la storia presente, la politica, il timore di attentati, le indagini del ‘solito’ commissario Hole (nome chiaro, non si confonde, è ben individuabile, meno male) e della sua collega Ellen, la vita privata del commissario, gli spostamenti tra un piano e l’altro (che significano spostamento di carriera, di ufficio, di incarico, qui tutto già più nebuloso, ma vabbè), l’incontro-scontro con il Brandaugh di cui sopra (che, a questo, Strauss-Khan gli fa un baffo), la morte violenta di qualcuno vicino al commissario, e via e via.
E proprio il commissario è in fondo il personaggio che ti tiene lì, a vedere come va a finire. Perché è un tipo solitario, un (ex?)alcolista, che sembra stanco della vita e procede dritto come un fuso, magari per sbattere contro l’ennesimo muro, se questo gli sembra giusto e onesto. Uno che mente, anche, ma non sulle cose importanti, e che prosegue cocciutamente alla ricerca della verità, anche quando sarebbe più semplice stendere un velo (diplomaticamente opaco) e tornarsene a casa.



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