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Una risposta me la do: e sta nel fatto che la seconda guerra mondiale, i cui eventi si estendono ben oltre i lager, è stato un catalizzatore di disperazione collettiva, che si può riassumere nella storia di un popolo reietto, sacrificato all'insopprimibile bisogno di normalizzazione, sia pure riguardo a un'estemporanea idea di normalità. Al di là dei numeri, la predilezione per lo sterminio ebraico rispetto ad altre vittime, un po' più sotterranee, facilita sul piano semantico l'identificazione storica e ideale di un popolo - il popolo di Adamo, il popolo dell'uomo - con il mondo (rispetto a quanto accade contestualmente per esmepio con zingari e omosessuali, visti come problemi sociali, risolti da sempre nel corso della storia con altri tipi di marginalità e deportazione, ma a un livello più locale).
Purtroppo, dunque, ha un senso porre il problema in termini di storia ebraica e affogare le vicende individuali nella storia. Il pianista (2002) del regista polacco Roman Polanski racconta quanto accade a Wladyslaw Szpilman, un pianista e compositore ebreo che riesce a sfuggire allo sterminio di Varsavia del secondo conflitto mondiale. Il musicista, interpretato da un eccezionale Adrien Brody (insignito dell'Oscar e di altri premi), attraversa tutte le vicende politiche del terzo Reich a Varsavia, sfuggendo sempre miracolosamente a tutte le occasioni in cui stava per perdersi.
Mi vergogno a dire che Wladyslaw Szpilman è stato fortunato: puoi passare attraverso tutto quell'orrore, quella depravazione dell'essere umano, sopravvivergli e considerarti graziato? Non c'è dubbio che, nella storia di questo musicista, di cui ora vorrei anche sapere altro, sono apparsi miracolosamente degli angeli, che ne fanno un prescelto per sfuggire alla carneficina. Una misteriosa catena di solidarietà sottrae il genio a ciò che sta avvenendo all'uomo, sotto gli occhi di tutti, perché, a volte, è la fortuna ad aiutare la storia. Wladyslaw Szpilman rintraccia una sorta di carsica resistenza all'abbrutimento collettivo, convogliando i rapporti personali che un uomo crea nella sua vita e storia di un intero popolo, quello polacco.
Leggo su Wikipedia che Szpilman fu anche un compositore per bambini e uno degli esponenti più importanti della musica polacca. Al di là dell'approccio sempre un po' agiologico di un film monografico come Il pianista, mi piacerebbe sapere sentire come suona l'arte di un uomo che ha subito tanto e ha sopportato il crollo del proprio mondo. Ma farò dopo il mio giro di routine su Youtube: quel che ho apprezzato nel film, e dunque nella scrittura tersa e drammatica di Roman Polanski, è l'uso non invadente della musica e il gusto essenziale nella scelta dei brani (fino all'immancabile Bach per violoncello di una sequenza che mi ha tanto richiamato alla mente una scena dell'Ortis). Notevole anche il cast internazionale, scelto senza vezzi o approssimazioni divistiche, per un risultato importante, che restituisce al regista il ruolo di narratore per immagini e per suoni, al di là di stilemi e sperimentalismi.
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