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Il piccolo figlio imperialista di papà

Creato il 07 gennaio 2011 da Paz83

Questa storia l’avevo pubblicata qualche giorno fa su tumblr, e non so come ma ha avuto grande successo, quindi ho pensato di approfittare dell’imminente fine settimana per riproporla anche qui sul blog che magari ha lettori che sul tumblr non passano mai. Buona lettura e buon fine settimana.

C’era un ragazzino al parco, uno di quelli figli di papà come ce ne sono tanti a Modena, uno di quelli che i genitori non dicono mai di no ad un capriccio anche se assurdo. Bene, questo ragazzino se ne stava come me al parco. C’era freddo, ed è comprensibile vista la stagione, ma comunque eravamo al parco, io seduto sulla pachina alla destra dell’albero e lui su quella a sinistra, in compagnia di una paio di amichetti. Stavo placido io, a fumarmi la mia bella sigaretta in santa pace dopo i bagordi festivi. Succede a questo punto che il ragazzino, nella smania di farsi bello davanti agli amichetti, tira fuori dallo zainetto un iPad, probabilmente ricevuto durante le feste, e comincia a maneggiarlo con fare borioso, che quello di tirarsela, si capisce, ce l’ha nel DNA. Gli amichetti a metà tra invidia ed esaltazione cominciano a lanciare gridolini isterici avvicinando sempre più le mani al trabicolo elettronico, come farebbe ogni ragazzino. Il figlio di papà però, forte della sua ingiustificata posizione di eletto, fa valere il suo status  nella sua scala sociale e rabbioso grida contro i poveri compagniucci, colpevoli di aver solo pensato di poter avvicinare le mani. A quel punto il mio senso di giustizia sociale esplode, così estraggo con fare misterioso uno dei miei regali di Natale, lo Yo-Yo…magico arnese che funziona grazie alle mistiche leggi della fisica, senza spine, cavetti, batterie al litio, app, porte usb, schermi o altre menate. Qualche trick me lo ricordo ancora, ma provo a fingere goffaggine fissando i due amichetti. Uno dei due intercetta e guardandomi mi fa: “guarda che sbagli il movimento, imprimi troppa poca spinta e il polso devi girarlo in quel modo…”, fingo di provare sbagliando, così lui mi chiede se può e si avvicina, prende in mano lo yo-yo e comincia a muoverlo tipo un tony hawk degli yo-yo, sti cazzi e complimenti. Pochi minuti dopo anche l’altro amichetto lo raggiunge, e siamo già lanciati in una sfida a tre, che ovviamente perderò brutalmente. Intanto il figlio di papà imperialista rimane solo sulla panca, non più considerato dalla classe operaia degli amichetti. Lo sentiamo esclamare solo un “che Nerd” detto con tutta la cattiveria del mondo. 10 minuti di solitudine dopo si avvicina per redarguire gli amici traditori, quand’ecco che dal nulla avvertiamo un’ ombra fulminea e solo dopo sentiamo tutti un’onomatopeica così sonora che nemmeno la vecchia serie di Batman anni 70 per la tv in dolby super digital sorround hd 3d, sbaaam, pooohf, sciiiiiiac, che prima arriva la mano e venti secondi dopo, e ripeto, solo venti secondi dopo udiamo il boato fragoroso dell’impatto. Era la madre, bilancia implacabile e imparziale della giustizia familiare all’italiana, detentrice unica dei verdetti divini e insindacabili. In mano teneva l’iPad del piccolo figlio di papà imperialista, abbandonato ormai da parecchi minuti sulla panchina alla sinistra dell’albero, come un giuda nell’ultima cena. Come da un sistema di amplificazione da stadio tutto il parco ode quelle parole: “piccolo stronzetto, è così che tratti la roba? Questo è requisito a vita, tu non lo usi più, saluta i tuoi amici che andiamo a casa”. Mentre si allontanano, sotto il rumore dei passi sulla ghiaia, sentiamo i piagnistei del piccolo figlio di papà come quelli di una piccola potenza totalitaria nucleare a cui è stato imposto l’embargo e privato del suo potere di controllo sociale. Lo Yo-Yo si riavvolge quasi magicamente nel palmo della mano dell’altro ragazzino che poi con fare solenne me lo porge, saluta e assieme al compare schizzano veloci verso due bici gettate a terra poco più la. Li vedo sparire lungo il viale ghiaioso. Provo un’evoluzione con lo Yo-Yo, ma questo non torna su. Dove sbaglierò mai? Che sia davvero il polso? Lo infilo in tasca e mi avvio anche io vero casa, fuori fa freddo e dal laghetto comincia ad alzarsi foschia.


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