Questo ricordo lo vorrei raccontare…
Ma così, si è già spento… non resta quasi niente
perché lontano, ai miei primi anni verdi sta.
Basta sfogliare i miei vecchi libri e balzano agli occhi una serie di ragnatele di note e noticine che cercano di spazzare via ogni millimetro quadrato del vuoto che costeggia il sapere accademicamente accreditato stampato lì, in times new roman a corpo 12.
Sintetizzavo al limite dell’umana comprensione che si snodavano per centinaia e centinaia di pagine: la Metafisica di Aristotele sta tutta in sei parole, sostanza e l’essere in quanto essere. Mi servono ancora oggi solo sei parole per evocare dodici scaffali della Biblioteca Centrale un tempo sorvegliata dalla Signora Margherita che beveva tranquilla il suo caffè tenendo il ketchup nel suo armadietto a trenta centimetri dall’Enciclopedia Einaudi (tutto puzzava di Ketchup ma nessuno lo ammetterà mai).
Sul libro azzurro del numero 102 di Vibrisse (quando era ancora un bollettino via mail), Franco Foschi fu lapidario: “Nei libri sottolineiamo ciò che vogliamo trovarci”. Ha vagonate di ragione. Io vivacchiavo parecchie ore nella biblioteca Centrale di Lettere dell’Università di Palermo. Sempre lì, con il muro alle spalle per avere la situazione sotto controllo (la sindrome da cow-boy sospettoso me l’ha appiccicata la lettura dei vecchi albi di Tex che quel grand’uomo di mio padre collezionava).
Stavo lì ore e ore a osservare tra una pagina e l’altra la curiosa fauna che popolava le simil-sedie in simil-pelle.
Mi facevano impazzire Quelli Con Il Righello E La Penna Galattica. Si riconoscevano subito: faccia da Nerd, spazi bianchi dei libri (fotocopiati abusivamente) ancora immacolati e calcolatrice scientifica così complessa che Bill Gates nemmeno saprebbe schiacciare l’ON. Quello Con Il Righello è nel 98% dei casi un laureando in ingegneria immigrato clandestinamente a Lettere alla ricerca di un’oasi di pace, lontano dalla sala studio di Ingegneria che è caratterizzata da un boato sordo e costante che disturba perfino la ricezione dei cellulari. I suoi spazi bianchi resteranno per l’eternità bianchi, non appunterà mai nulla e se una ragazza osasse scrivergli il suo numero o le sue misure la guarderebbe malissimo prima di sfoderare la gomma ancora cellofanata per cancellare via l’onta. Ma è soprattutto la Penna Galattica che stuzzicava la mia indagine antropologica. La prima impressione è che il Nerd l’abbia fregata dalla plancia dell’Enterprise o dalle tasche di Luke Skywalker.
Io amo scrivere con la stilografica, loro amano le penne galattiche. Hanno scelto la facoltà d’ingegneria guidati da quella penna. Aspirano a costruire qualcosa di galattico e a vivere in un attico galattico dove passare i giorni della pensione a rivedere un dvd galattico zeppo di robottoni giapponesi. Quelli col Righello sognano sogni quadrati e zeppi di congegni galattici più di una puntata dei Power Rangers.
Lascio il Righello e la Penna al loro destino per richiamare alla memoria un’altra agghiacciante presenza che popolava (e sicuramente le popola ancora, perché si fanno sempre ingravidare da qualche caso umano prima dei 30 anni) le Biblioteche all’inizio di questo Millennio: la Ragazza Cozza Col Quaderno Ad Anelli. La Ragazza Cozza passa i semestri universitari ad appiccicare pietosi salvabuchi sugli orifizi dei fogli appena comprati. Odiano i fogli volanti e così preferiscono la prevenzione. Dico perché non usano i vecchi quaderni senza buchi?
Queste due pippe mentali le ho appuntate una vita fa sugli spazi bianchi della Semiotica e filosofia del linguaggio di Umberto Eco, le ho sintetizzate in due parole: “galattico” e “salvabuchi”, accanto ho piazzato due chiavi nere stilizzate. E’ il simbolo che riservavo alle aporie e ai Grandissimi Dubbi che lascerò in eredità alla redazione del Pomeriggio sul Due.
Dieci anni dopo chissà se la Penna Galattica avrà attraversato il quaderno ad Anelli, dalla loro mistica unione non oso pensare a che tipo di ultra-nerd sia mai nato…