Non c’è bisogno di essere un
pentastellato o un invidioso gufo per sbottare alle trionfalistiche
dichiarazioni del “giovine” Governo democratico. Se aveva ragione quel nobile
di Talleyrand, che del trasformismo fu primo esempio e maestro, quando diceva
che: “in fondo la politica non è altro
che un certo modo di agitare il popolo prima dell’uso”, allora sarà facile
comprendere che per indignarsi di fronte alle res gestae di un Governo non eletto basta semplicemente non volersi
fare prendere per il culo. E’ pur vero che, per parafrasare Weber, il politico
è un uomo che vive di parole. E’ un parlatore di professione, seppur scadente,
come richiedono i tempi moderni: oggi meglio twittare, concisamente e
chiaramente, tanto per non obbligare il consapevole cittadino medio a
dover pensare con la propria testa. E così, nella progressista democrazia del social-marketing e del “tanto per fare”, sembra si stia
addirittura approfittando della beata sonnolenza del popolo a colpi di tweet e
di Leopolde.
Ad esempio l’Ocse, ma anche i dati Istat
e quelli di Confindustria, della Cgia di Mestre e di Topo Gigio, sembrano
prevedere una crescita del Pil per l’Italia dello 0,7% nel 2015 - No dello
0,9%! No no si supera l’1%, altro che 0,7! No, scusate, 0,8! Anzi, meglio 0,7! - (anche sulla “cosa”
più monitorata di questo mondo – l’economia – non ne azzeccano una: ne sparano
tante, spesso a vanvera ma supportate da tendenze, algoritmi, dati non
certificabili a priori, e in quel casino di tentativi, in quel continuo sparar
di cifre, alla fin fine una giusta riescono persino a dirla. C’azzeccano, e
quando capita, ci tengono a farti sapere quanto sono stati bravi).
Eppure, in questo caso, il problema non
sta esclusivamente nella malafede dell’economia collusa coi gangli del potere
politico, né nell’incompetenza, ma professionale – in giacca e cravatta –, dei
nuovi baroni del vapore economico che, quando non fanno danni, si dilettano nei
pronostici. Semmai ci fosse davvero un errore in quei dati, andrebbe
probabilmente ricercato altrove. In particolare il QE (quantitative easing),
ovvero l’acquisto massiccio di titoli di Stato da parte della BCE, sembra poter
valere 1,4 % del Pil in due anni.
Lo stesso Padoan, ed anche l’onnipotente
Goldman Sachs, hanno poi quantificato in uno 0,5% di Pil il deprezzamento del
petrolio nel 2015. Ecco, se una massaia avveduta potesse fare due conti sulla
mirabolante crescita del Pil italiano nell’ultimo anno, si renderebbe conto che
in realtà esso non è cresciuto, poteva anzi diminuire (eh… non si potevano
certo prevedere il QE e il calo del prezzo del petrolio!).
Anche l’apologo del Jobs act, secondo
cui starebbe progressivamente diminuendo la disoccupazione, potrebbe rivelarsi
come fumo negli occhi. Prestando ascolto al sempiterno Istat, dopo la crescita
registrata tra giugno e agosto (+0,5%) e il calo di settembre (-0,2%) e ottobre
(-0,2%), a dicembre 2015 la stima degli occupati torna a scendere dello 0,1% (-21
mila).Su base annua la
disoccupazione registra invece un forte calo (circa l’8%, pari a -254 mila
persone,) attestandosi al’11,4%. Cresce però anche l’inattività (+1,4%, ovvero +196
mila persone che si sono rassegnate e non cercano più un lavoro).
In tal senso, la disoccupazione su base
annua scende, è vero, ma ci si dimentica che essa è anzitutto un rapporto che
ha come denominatore di calcolo la popolazione attiva (quella che potrebbe
lavorare). Viene da sé, quindi, che se diminuisce la popolazione attiva perché
aumentano gl’inoccupati, la disoccupazione diminuirà a sua volta, ma questo
calo non si tradurrebbe in un aumento automatico degli occupati.
Insomma, quando non si sparano
palesemente palle, ci si dimentica almeno di leggere interamente i dati,
prendendo per buoni solo quelli che sono utili a glorificare l’azione del
Governo di turno.
Ma in fondo, perché spiegare al cittadino inciuchito ciò che
accade davvero per renderlo consapevole, più avveduto, e magari migliore,
quando invece puoi mettere la faccia sul successo appena ottenuto continuando a
raccontare quello che ti fa più comodo raccontare? Forse perché, come andava dicendo un altro nobile, il
Barone d’Holbach, che se non altro
col potere aveva un rapporto più prossimo, quasi fisiologico, rispetto agli
odierni politici mondani: “il
potere e la grandezza, solitamente assorbono il cuore dell’uomo, lo ubriacano e
gli causano una specie di delirio”.