Roberto Benigni c’ha provato a sdoganare Dante presso l’intellighentia di sinistra, ma l’operazione non è riuscita. A sentire l’attore impegnato a recitare sulle piazze e nei teatri i canti più ‘ganzi’ della Divina Commedia, c’andava la gente dei borghi, incuriosita e malinformata sul sommo poeta, Virgilio e Caronte. Francesca, chi? Beatrice, ma quell’altra? Guido e Lapo, ma chi erano? Gli altri, i dotti, andavano a sentire Vittorio Sermonti, come prima si scomodavano per gustarsi le recite di Giorgio Albertazzi, Giancarlo Sbragia, Enrico Maria Salerno e, forse, Carmelo Bene. Nemmeno la buona volontà, la simpatia e l’arte clownesca del talentuoso teatrante toscano hanno convinto i compagni a cambiare idea. Dante era un ‘nemico’ e tale deve restare. Imposta da cinquant’anni dagli intellettuali progressisti, questa è la parola d’ordine alla quale ubbidiscono studenti e professori, scrittori e critici, benpensanti liberal di ogni estrazione sociale.
Dante Alighieri stava sulle scatole a quelli di sinistra fin dagli anni Cinquanta. Pagava la sua appartenenza al Fascismo, dal quale era stato arruolato ufficialmente ancora prima della Marcia su Roma. Poi Benito Mussolini, in prima persona, lo aveva eletto Padre della Patria, il Profeta. Per tutto l’arco del Ventennio, Dante era diventato la guida spirituale del duce e dei più alti gerarchi. Non era stato, forse, il sommo poeta a vaticinare l’arrivo del Salvatore nella figura del Veltro, incarnato dal duce? Il regime gli aveva affibbiato, in modo del tutto arbitrario e altrettanto conveniente, interpretazioni e allegorie allegramente fasciste.
Ma non importa: l’autore della Commedia era stato per più di vent’anni il vessillo della reazione e della prepotenza. Quindi, alla resa dei conti, anche lui doveva pagare. E ha pagato, duramente. Soprattutto dopo il Sessantotto, hanno voluto dimostrargli antipatia e insofferenza. Bandito dai licei e dalle università, così com’era stato bandito dalla sua città, Dante è stato via via estromesso dal consesso dei Grandi italiani.
A maggio, due consiglieri comunali di Forza Italia ispirati da Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi, hanno presentato una mozione al sindaco Leonardo Domenici allo scopo di “promuovere la piena riabilitazione di Dante Alighieri revocandone formalmente la condanna inflitta nel 1302”. La giunta di centrosinistra era occupata in altre faccende, alcune molto serie e insidiose. Per cui quella mozione è stata accettata con tranquillità. Ma sindaco e assessori non hanno fatto i conti con i nemici di Dante, che numerosi si contano nella sinistra moderata e in quella radicale.
Fatto sta che la giunta si è smarrita davanti alla polemica, aspra e selvaggia, sollevata da alcuni consiglieri comunisti e postcomunisti, con l’appoggio dei Verdi. La mozione ha mandato in tilt l’intero apparato progressista della città: nemmeno il sindaco e i suoi più fedeli collaboratori potevano immaginare una cosa tanto sorprendente.
In consiglio comunale la mozione è passata con un solo voto di scarto, perché alla fine anche alcuni esponenti del Pd, fedeli alla linea politica del sindaco, hanno votato contro. Il voto contrario di Verdi, Rifondaroli e Comunisti è stato accompagnato da commenti e battute al veleno: “Dante ritorna a Firenze? Ma se fu cacciato perché ladro e corrotto!”. E poi: “Rimanga dove sta, che sta bene lì!”. “Se vedete Dante, salutatelo per noi!”. E via dileggiando. L’onda d’urto delle polemiche ha investito in pieno i due consiglieri di Forza Italia che hanno avuto la bella, e temeraria, idea di riabilitare il poeta condannato prima all’esilio e poi, per ben tre volte, alla pena capitale.
Che, niente niente, dietro alla riabilitazione del poeta vittima di congiure di giudici rossi (beh, sì, perché all’epoca, durante la celebrazione dei processi, i giudici indossavano una veste rossa), di nemici politici e di cronisti faziosi, si nascondeva nemmeno velatamente l’intenzione di ‘riabilitare’ il Cavaliere? Certo, a Firenze hanno pensato, eccome, a questo cavallo di Troia dantesco. Le battute profferite contro Dante, anche uno sprovveduto l’avrebbe capito, sono
state tanto perfide quanto indirizzate a un altro personaggio che con Dante formava, secondo i contestatori, davvero una bella coppia.
La situazione non è sfuggita al quotidiano “la Repubblica” che il 17 agosto – quando le polemiche erano ancora vive a Firenze – ha dedicato una pagina intera all’argomento con una inchiesta firmata da Siegmund Ginzberg. Il titolo non lascia dubbi sulla interpretazione dei fatti: “I soldi, le donne, la malapolitica”. L’incipit, poi, completa l’opera: “legge non è sempre uguale per tutti. C’è un italiano così famoso da poter essere considerato ormai al di sopra della giustizia. Era in odore di essersi arricchito con le speculazioni sui terreni. Correva voce che avesse fatto carriera grazie all’appoggio di una setta segreta di iniziati, una specie di P2…
Era di dominio pubblico che, pur avendo moglie e figli, continuasse a correre dietro a uno stuolo di belle donne. Anzi, era lui a vantarsene. Non si era mai presentato ad alcuno dei processi a suo carico. Era stato più volte condannato per corruzione, compravendita di magistrati ed esponenti politici, per l’abuso a fini personali della sua alta carica di governo e dei fondi pubblici…”. Ma di chi stiamo parlando? Certo, di Dante Alighieri, come poi precisava, arguto e garbato, Ginzberg. Ma che stesse parlando soltanto di Dante non ci credeva nemmeno lui, naturalmente, perché i riferimenti al Cavaliere erano tanti e così ben motivati da dare l’impressione di leggere una requisitoria contro l’Alfiere e il suo successore.
Nella storia di Dante e del suo ‘incredibile’ erede c’è spazio anche per altri personaggi politici moderni, molto vicini al Cavaliere e non molto lontani dal poeta. Bettino Craxi, per esempio. “Exul immeritus” anche lui, secondo familiari, amici e compagni di partito, ha avuto l’onore di una statua di marmo in una piazza di un paese in Lunigiana, vicino a quella di Dante, dello stesso marmo. Tutte e due collocate nei pressi della piazza che prima si chiamava Giacomo Matteotti e poi è stata intitolata ai Martiti di Tangentopoli. Tutto a opera di un sindaco che oggi fa parte della coalizione di governo del Popolo della Libertà come esponente del Nuovo Psi.
Il Poeta e il Cavaliere è la storia dell’imprevedibile e imprevisto connubio tra due personaggi che soltanto una mente piena di fantasia e tanto altro ancora avrebbe potuto immaginare. L’‘eredità’ del Poeta raccolta dal Cavaliere non è, come potrebbe sembrare all’attenzione di persone ragionevoli, una favola moderna basata su congetture, finzioni, idee.
È una storia vera, con personaggi veri e fatti realmente accaduti. Ed è anche l’occasione, ghiotta e finalmente non ipocrita, per rileggere la vita e le opere di Dante Alighieri con intenzioni e occhi nuovi, rompendo quel muro di omertà accademica e di ammuffito perbenismo che hanno impedito di capire quale personaggio fosse veramente il Sommo Poeta. Andando a rovistare negli archivi pubblici e privati, leggendo per la prima volta documenti di eccezionale interesse storico, buttando via quella polvere che ha coperto per secoli cronache e libri inediti, è stato possibile fare emergere, finalmente, un uomo di eccezionale talento con i suoi non pochi traviamenti, personali e pubblici.
Il poeta e il Cavaliere - Storia di donne, soldi e malapolitica di Mario La Ferla
Collana Eretica Speciale
216 pagine
ISBN: 978-88-6222-126-9