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Il pomodoro pugliese: un affare “campano”

Creato il 19 ottobre 2010 da Scienziatodelcibo @scienziatodelci

   images (16)Questo blog, oltre ad essere un contenitore di informazioni e consulenza, si occupa spesso e volentieri di tutto ciò che gira intorno al mondo del food, in particolar modo alle questioni locali. Riteniamo l’agricoltura e l’alimentare il settore strategico più importante per il Mezzogiorno e per la Puglia in particolare e ci sta a cuore entrare nel merito anche delle dinamiche economiche e politiche che regolano questi comparti, spesso in modo poco chiaro e tutt’altro che onesto. Uno degli affari più sporchi è senz’altro quello del pomodoro. Ecco l’Editoriale  di Agostino Del Vecchio (http://www.statoquotidiano.it/) direttamente dalle campagne della capitanata.

La campagna dei pomodori 2010, uno dei settori trainanti dell’agroalimentare di Capitanata e di tutta l’economia pugliese, ricomincia anche quest’anno ma intrisa di veleno. Colpa dei drastici tagli ai guadagni degli agricoltori della provincia di Foggia decisi dalle industrie di trasformazione del pomodori, praticamente quasi tutte campane.

A parte qualche piccola fabbrica come la Futuragri, società di imprenditori foggiani, infatti, non ci sono praticamente industrie pugliesi di trasformazione del pomodoro. Il trasporto del prodotto costa anche 800 euro, con i camion nella maggior parte dei casi provenienti dalla stessa Campania. “Quasi il 30 per cento del prodotto -spiega ai microfoni di Stato il Presidente della Coldiretti Pietro Salcuni- è scartato perchè le ditte sanno che i contadini hanno seminato più della quantità richiesta nel contratto. In più le industrie pretendono la racconta a mano, facendo ulteriormente lievitare i costi per gli agricoltori”. Pietro Salcuni, Presidente regionale della Coldiretti di Puglia, di recente è stato nominato dalla Coldiretti Nazionale commissario della Federazione Provinciale Coldiretti di Bari.

capitanata
LE INDUSTRIE LASCIANO MARCIRE IL RACCOLTO – Sotto accusa sono finite le industrie della Campania, responsabili, secondo le associazione agricole pugliesi come Apo e Coldiretti, di inviare meno camion, provocando la perdita di un prodotto facilmente deperibile quale è il pomodoro per industria. “La colpa – continua Salcuni- è anche dell’Apo Foggia che permette questo. Ci sono poi le ditte campane che speculano sulla situazione inviando meno camion, rispetto ai ritmi lavorativi delle fabbriche che sono ben altri. Prima tra tutte “AR” del campano Antonino Russo, sita a Foggia, sulla quale avevamo puntato molto e che ci ha deluso”. L’impianto, infatti, può lavorare, al giorno, il carico proveniente da 250 tir, ma finora non è andato oltre 160.
LA STORIA DI AR Industrie Alimentari S.p.A. inizia nei primi anni sessanta con la fondazione della ditta individuale “La Gotica” di Antonino Russo. Nell’anno 1979 “La Gotica di Russo Antonino” viene conferita in una nuova società di capitali, la “Conserviera Sud S.r.l.”. Negli anni ottanta Antonino Russo costituisce altre quattro società nel settore delle conserve alimentari e nell’anno 2000 tutte le società produttive vengono incorporate in un’unica azienda denominata “AR Industrie Alimentari S.p.A”. Nel 2001 con la “Princes Foods Limited” viene costituita la “Napolina Ltd”. Il programma di espansione aziendale ha portato alla costruzione di un moderno stabilimento produttivo a Foggia che occupa una superficie di oltre 500.000 mq e offre 700 posti di lavoro (600 stagionali, 100 a tempo indeterminato).
LE CIFRE DELL’ “ORO ROSSO” – In provincia di Foggia il giro d’affari legato all’”oro rosso” registra cifre a 8 zeri. In Capitanata, infatti, ogni anno vengono prodotti 19/20 milioni di quintali di pomodori, venduti ad una media di cento euro a tonnellata. Il valore complessivo della produzione supera i duecento milioni di euro. A questo bisogna aggiungere la fase di lavorazione e inscatolamento che crea reddito per gli industriali campani cosi come campana è spesso la gestione del trasporto del prodotto.
5 MLN DI QUINTALI IN ESUBERO – L’Apo (Associazione produttori ortofrutticoli) di Foggia ha segnalato per quest’anno, 5 milioni di quintali di extra produzione di pomodori in Capitanata, non previsto dagli accordi bilaterali fra organizzazioni agricole e industrie della trasformazione alla vigilia della campagna. “La colpa -spiega Salcuni – è degli avventurieri che hanno spinto gli agricoltori a piantare più pomodori del necessario per rifarsi del denaro che hanno anticipato. E’ un discorso già visto e rivisto, niente di nuovo sotto il sole. Il loro scopo è sempre stato quello di creare scompiglio nel mercato”.
Gli industriali campani coinvolti nella trasformazione del pomodoro in pelati, passata e concentrato, secondo la Coldiretti, conoscono da tempo questa speculazione ai danni degli agricoltori pugliesi e la sfruttano a loro vantaggio rallentando la raccolta del pomodoro “inviando meno macchine e stabilendo un prezzo inferiore o peggio lasciando andare a male i pomodori sulle piante”, continua Salcuni. Discorso a parte per l’Emilia Romagna, regione tra le maggiori produttrici di pomodoro in Italia, dove gli accordi tra domanda e offerta vengono rispettati”.
LA PIAGA DEL POMODORO CINESE – Il 10 agosto scorso, proprio in Emila, precisamente nel Reggiano, sono state sequestrate 220mila buste di concentrato di pomodoro e il proprietario della ditta denunciato per frode. Il Nucleo Antifrodi Carabinieri di Parma ha accertato 350.000 kg di prodotto italiano “tagliato al 65%” con pomodoro cinese. Negli ultimi anni sono stati sequestrati in Italia “quantitativi di concentrato di pomodoro proveniente dalla Cina con larve di insetti e muffe”, spiega Lorenzo Bazzana della Coldiretti. “Il danno alla salute – continua – dipende dal tipo di muffa presente: si può andare dall’intossicazione alimentare alla morte. Le normative sanitarie cinesi sono differenti dalle nostre e non è escluso l’uso di prodotti antiparassitari non impiegati da noi”. L’import di concentrato di pomodoro cinese ha registrato un balzo del 174% nel trimestre dicembre-febbraio 2010 rispetto al precedente periodo del 2009, anno in cui in Italia sono arrivati 82 milioni di chili di prodotto da “taroccare” come Made in Italy e minaccia seriamente le decine di migliaia di aziende ortofrutticole piccole e medie del Mezzogiorno che costituiscono i tre-quarti della produzione totale italiana.


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