Nel capitolo “Come potrà sparire il populismo” del libro “Governare bene sarà possibile”, Giovanni Palladino propone la rivalutazione e l’applicazione del “metodo popolare” di Luigi Sturzo per fronteggiare la deriva populista e colmare il “vuoto culturale e morale” della politica
È vero che il populismo nasce da presupposti condivisibili, ovvero dalla constatazione della mala gestione da parte della classe dirigente; tuttavia esso si riduce a “una rabbia emotiva e poco razionale, abile solo nel comunicare con molta efficacia la sua grande frustrazione, che è comune a quella di molte altre persone arrabbiate”. Questo sentimento non può rappresentare la soluzione: come rileva Palladino, tutti i populismi hanno sempre dimostrato di non saper costruire, perché mancanti di “un solido patrimonio culturale da abbinare alla capacità d’iniziativa e al senso di responsabilità degli operatori politici ed economici”.
In Italia non siamo immuni da questa tendenza: Matteo Salvini – che intende portare la Lega oltre i confini della Padania e ha stravolto la natura del partito che fu di Bossi, abbandonando l’obiettivo secessionista e avvicinandosi a movimenti di estrema destra come Casa Pound – ha dichiarato in una intervista del 19 marzo al Corriere che “Essere populista è un vanto, se significa dire in un minuto quel che certi professoroni dicono in tre quarti d’ora, come il non-populista Prof. Monti”.
Il problema è che a dire le cose in un minuto si rischia di cadere nel superficiale, e l’applicazione (in contesti che necessitano invece di approfondimento e solide argomentazioni) “del linguaggio ‘Twitter’ – bene appreso anche da Matteo Renzi – è un potente veicolo di trasmissione del populismo, fenomeno che non si è mai distinto per la profondità di pensiero di chi lo divulga e lo sfrutta”.
C’è poi il caso di Grillo, che ha attratto il consenso di molti elettori scontenti ma non quello “degli italiani assenteisti, ormai sfiduciati da tanto populismo e da tanta cattiva politica dovuta al ‘vuoto’ morale e culturale di molti suoi protagonisti”. Se è vero che non tutti i grillini in Parlamento sono populisti, “non vi è dubbio che il loro leader ne sia un grande esponente”. Ma per riuscire a cambiare veramente le cose occorre possedere ben altre doti: occorre colmare l’emergenza “causata dal ‘vuoto’ culturale e morale in cui è caduto il mondo politico italiano ormai da diversi decenni, causa prima del declino economico-sociale che ha colpito il Paese. Se non si riempie di buona sostanza questo ‘vuoto’, la protesta populista – esplosa proprio per contestare il male prodotto da tale grave difetto – è purtroppo destinata a persistere”.
È qui che entra in gioco il popolarismo, descritto da Palladino come “un sistema e un metodo di governo nati con il famoso Appello a tutti gli uomini liberi e forti scritto da Luigi Sturzo al momento della fondazione del Partito popolare italiano nel 1919” e poi “’affinato’ nei decenni successivi dallo stesso ideatore e da tanti altri grandi statisti come De Gasperi, Luigi Einaudi e Konrad Adenauer”. Questo sistema “richiede innanzitutto persone dotate di grande spirito di servizio, di competenza e di moralità”. Per Sturzo l’uomo che si dedica al servizio del bene comune non solo deve possedere grande competenza ma anche grandi doti morali: se la mancanza di uno di questi requisiti lo renderebbe “zoppo”, l’assenza di entrambi – caso a tutt’oggi non raro – lo farebbe una persona “capace di tutto, nel peggior senso del termine”.
Proprio qui sta il punto su cui Palladino intende attirate l’attenzione: “Il populismo muore in un sistema politico ‘corazzato’ da uomini di servizio, mentre vive e vegeta con le abitudini e i comportamenti tipici dei ‘benefattori’, contro i quali il populista è molto abile a scagliarsi, ma con scarse probabilità di abbatterli. Le soluzioni efficaci non sono rappresentate dagli urli rabbiosi ed emotivi, ma dalle idee e dai progetti credibili di coloro che sanno coniugare la buona cultura con la concretezza delle azioni più adatte al caso”.
Marco Cecchini