Correva l’anno 1978, febbraio o forse marzo.
Un sabato sera Aquila in compagnia di tre amici, tutti diciottenni (che chiamerò Paperino, Pippo e Topo Gigio), uscì dal cinema. Paperino, il più vecchio dei quattro, aveva già preso la patente e il padre gli aveva regalato un’auto nuova, rossa fiammante. Invitò gli amici a fare un giro per il paese.
Aquila e Topo Gigio si sedettero dietro, Pippo di fianco all’autista.
Paperino percorse la via principale del paese a passo d’uomo, alla vana ricerca di qualche ragazza che percorresse quella strada e potesse ammirare il suo bolide. Poi imboccò la circonvallazione, e l’obiettivo divenne quello di mostrare ai suoi amici di quali prodezze era capace, pur se neopatentato.
Prese la prima curva a sinistra a velocità folle, l’auto sbandò, finì su un’aiuola sulla destra, divelse (diveltette?
) un segnale e poscia invase la corsia di sinistra, dalla quale stava arrivando una misera 127 (non ricordo il colore, forse verde chiaro, color cacca di neonato).L’impatto fu inevitabile.
Aquila e Topo Gigio, seduti dietro, riportarono qualche graffio, Paperino si ferì a una gamba (come Garibaldi nella nota canzoncina), mentre Pippo, seduto al suo fianco e ovviamente senza cintura di sicurezza (come si usava allora) sbattè la capoccia contro il parabrezza, trasformandosi in una maschera di sangue. L’autista dell’altra auto ne uscì conciato maluccio pure lui.
Uscito dall’auto e valutati i danni alla sua persona (fortunatamente minimi), Aquila notò che anche Topo Gigio stava bene, mentre gli altri due amici erano conciati male. E così, mentre altri automobilisti si fermavano e qualcuno chiamava i soccorsi, cercava di sostenere quello che aveva dato la capocciata al parabrezza.
Sapete che fece Topo Gigio (che, particolare non irrilevante, era un fascistello ciellino)? Se ne andò a casa, tranquillo e beato. Lui lì non ci doveva stare, aveva disobbedito ai genitori.
Sapete che ha fatto negli anni futuri Topo Gigio? Ovviamente politica e oggi è presidente di un importante ente pubblico.
Questo per dire che non capisco, ma non capisco proprio lo scalpore sorto dalla diffusione delle telefonate tra Gregorio De Falco, della capitaneria di porto di Livorno e Francesco Schettino, comandante della Costa Concordia. Il primo che tenta di richiamare ai suoi doveri il secondo, con tono perentorio e severo; il secondo che cincischia, balbetta, che “è inciampato nella scialuppa di salvataggio” (questa è degna del peggior Fantozzi).Gli italiani sono un popolo di schettini, lo sono sempre stati e sempre lo saranno: cialtroni, leccaculo, ignavi, traditori, voltagabbana, forti con i deboli e cagasotto non soltanto con i forti, ma anche con quelli normali.
Ma ci ricordiamo di come abbiamo affrontato due guerre mondiali nel secolo scorso? Con quanta leggerezza e viltà abbiamo mandato a morire centinaia di migliaia di persone?
E ci ricordiamo che siamo quelli delle guerre coloniali e delle leggi razziali?
E ci ricordiamo che celebriamo da oltre quarant’anni la strage di Piazza Fontana senza sapere ancora chi ha messo quella bomba e ancora non abbiamo fatto luce sui cosiddetti “anni di piombo”?
L’Italia è piena di schettini: governano gli enti pubblici, le aziende private, le banche, le assicurazioni, gli ospedali, ecc. Dobbiamo soltanto pregare di non capitargli mai a tiro.
Certo, ci sono anche i De Falco, che vengono celebrati come eroi perché sappiamo benissimo che sono rari come le mosche bianche. E li celebriamo come eroi dopo che sono accadute le tragedie, perché se alzassero la voce prima, li tratteremmo come rompicoglioni e li manderemmo a cagare immediatamente.
Poi dicono che abbiamo difficoltà con i partner europei…
Per forza, chi vorrebbe avere a che fare con una massa di coglioni come gli italiani?