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Il post che non volevo scrivere - Bangkok, Thailandia

Da Pulfabio
Il post che non volevo scrivere - Bangkok, ThailandiaQuesto è un post che avrei preferito non scrivere. E infatti ho passato ore a cercare di accantonare il ricordo dei fatti che seguono, ma non ci riesco. L'intensità delle sensazioni provate ha provocato uno sconquasso. Devo documentare.E' l'ennesima testimonianza della violenza cieca che può esplodere da un momento all'altro in un paese in cui uno si abitua in fretta a incontrare persone affabili, sorridenti, tolleranti, e che proprio per questo contrasto quando ci scroscia davanti con la potenza di una valanga himalayana ci sconvolge, graffiandoci l'anima con artigli aguzzi.E' notte fonda, passeggio in una via affollata di Bangkok, evito uno straniero che manda a quel paese un ladyboy troppo insistente, le solite cose insomma. Poi però cambio idea: non è ancora il momento di tornare in stanza, mi giro e torno indietro. Quando passo davanti a un baretto volante montato sul ciglio della strada vedo lo stesso ladyboy che discute con la proprietaria. Partono un paio di schiaffi e il ladyboy viene assalito da tutti i membri del personale: in totale due donne e un uomo.
Lo afferrano per i capelli e la maglia e lo colpiscono ripetutamente, con calci e pugni. Non so cosa abbia fatto ma mi attendo la rappresaglia di rito, già osservata varie volte: un minuto di percosse e l'abbandono del corpo immobile al suolo, poi la ripresa dei sensi della vittima e la sua ritirata in condizioni malconce. Il pestaggio invece continua per un tempo lungo, paurosamente, ignobilmente lungo. I colpi sono tirati per infliggere il danno peggiore e vanno a finire quasi tutti sulla testa del ladyboy, i pochi che colpiscono altre parti (spalle, scapole e braccia) lo fanno solo per problemi di mira. Sono quasi tutti calci. La proprietaria tira piuttosto debolmente, ma immobilizza efficacemente il bersaglio ormai passivo, impedendogli di scappare ed esponendolo con un'angolazione favorevole alla traiettoria dei fendenti degli altri. L'uomo sferra i colpi con una potenza paurosa, non molto spesso per fortuna. La cosa che più mi sconvolge è la sua espressione, perché è evidente che picchia per puro divertimento, come potrebbe fare un ragazzino un po' esaltato con un sacco da boxe. L'altra donna invece è una furia inarrestabile: è la rabbia cieca ad animarla. Colpisce con forza e instancabilmente per vari minuti. Il suo volto è sfigurato dall'ira. Nel frattempo il corpo del ladyboy rotola, cozza e rimbalza sull'asfalto, da un marciapiedi all'altro. Io resto inchiodato sul posto. Non voglio guardare. Devo guardare. Ma come, e intervenire? Starete pensando. Impresa nobile, all'apparenza, ma in effetti ingenua e masochistica. Lo so io come lo sa chiunque altro sia stato qui più di un paio di mesi. Non l'hanno ancora scoperto invece i turisti appena atterrati che, pensando qui funzioni come nel loro paese e non dando importanza al fatto che nessun thailandese abbia mosso un dito, si avvicinano supplicando o addirittura ordinando ai giustizieri di fermarsi. Vengono cacciati via con insulti, minacce e se serve anche una dose di violenza. Il tono e i gesti utilizzati sono garanzia di consegna. Il messaggio è chiaro: non sono fatti tuoi, non ti immischiare altrimenti farai la stessa fine. Emblematico il commento di un thailandese che mi si avvicina, forse attratto dalla mia espressione sbigottita: "noi non possiamo far nulla, soltanto stare qui a osservare..."
Chiunque si avvicina entro pochi secondi si allontana spaventato e frustrato, mentre il pestaggio continua impietoso. Tra questi c'è un signore occidentale con camicia bianca e borsa di pelle: sembra uscito da un ufficio o una scuola. Dopo un minuto però un senso di colpa tanto genuino quanto fuori luogo lo fa tornare indietro. Cerca di fermare il massacro interponendosi fisicamente tra le parti e quando è spinto via reagisce con uno strattone e delle urla: "Ora basta!" Quelli lo prendono alla lettera e lo fanno smettere di agitarsi con una bottigliata in testa. Lo vedrò più tardi mentre si preme un fazzoletto sulla ferita, la bella camicia bianca macchiata dal rosso vivo del suo sangue. L'idea piace molto alla donna inviperita che in breve sequenza frantuma due vuoti di birra sul cranio del ladyboy. Finalmente lo abbandonano sul marciapiedi, privo di sensi. I picchiatori ansimano, sfiancati dall'attività fisica e da quell'assurdo parossismo di rabbia. Si massaggiano le mani doloranti e si sgranchiscono i polsi. Sui loro volti non c'è però traccia di sentimenti contrastanti. Soltanto sorrisi e occhiate di intesa. Sono convinti della legittimità e opportunità della punizione inflitta.
Un cliente del bar, uscito dallo stato trance e di shock che lo avvolgeva, lancia a terra una bottiglia di birra e se ne va disgustato.Il ladyboy dopo un po' si solleva. Barcolla, sanguina ma riesce comunque ad allontanarsi, volto, spalle e petto inzuppati, rosso cupo. Dev'essere un incassatore notevole: ne ha prese davvero troppe. Pochi metri più in là finalmente qualcuno lo aiuta.
Della polizia nemmeno l'ombra, anche se la stazione è a pochi metri di distanza. Gli agenti sono sempre pronti a confiscare magliette ai venditori abusivi - dei poveracci - (capi che doneranno in beneficenza ai membri delle proprie famiglie) o a perquisire le tasche degli stranieri brilli - dei poveracci anche questi, per altri versi - nella speranza di poter estorcere qualche migliaio di dollari all'ingenuo di turno che ha avuto la brillante idea di portarsi appresso una bustina d'erba o una pastiglietta proibita. In casi come questi, però, preferiscono non guastare la gioviale atmosfera con la loro presenza autoritaria e poco "turistica".Me ne vado anch'io. Ma dove vado? Che ci facevo qui? Perché avevo deciso di voltarmi? Vuoto totale. Ma chi se ne frega, via da qui, dalle facce di quegli stronzi, il cui ricordo spero venga offuscato al più presto dalla risata di un beone o dall'apparizione di qualcuna delle belle ragazze che stavano nei paraggi poco fa.
Foto di Mr Magoo ICU (CC)

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