La prima uscita da presidente, ne testimonia la sensibilità storica e la perspicacia: l’andare alle fosse ardeatine per poi comparare il nazismo con il cosiddetto terrorismo. Ci sarebbe da fare come Alfieri quando buttò dalla finestra il Galateo di Monsignor Della Casa perché cominciava con un orribile conciossiachè. Ma diamo il benvenuto al nuovo tutore dell’oligarchia, nato dall’astuta commedia del gatto e la volpe che hanno finto il dissidio su un nome scelto assieme, atto a ricompattare i rispettivi onorevoli bravi: lo spettacolo di un parlamento di nominati in cui si controlla il voto segreto ordinando agli uni di votare Mattarella, agli altri Mattarella. S e ad altri ancora Sergio Mattarella è impagabile come modesta contraffazione di democrazia.
Così l’apertura di mandato corrisponde al ruolo protocollare e travicellare per il quale è stato scelto il personaggio e liberato dalla naftalina in cui era stato riposto: mettere corone, apporre medaglie e non rompere le uova nel paniere a Renzi e Berlusconi. La scelta di un anziano notabile democristiano, erede di tutta una tradizione da sottobosco, va certamente nel senso della restaurazione che sia il premier sia il condannato vogliono e indica la sostanza truffaldina del cambiamento e del rinnovamento invocato. Sul suo nome si è persino arenato il syrizismo a ore della cosiddetta sinistra radicale e dell’opposizioni interna del Pd: Lassie torna a casa quando sa che c’è l’osso che lo attende e lo si può prendere senza fare brutte figure come sarebbe accaduto nel caso di Amato o di altri nomi conosciuti.
In un certo senso il Mattarella, gestore silenzioso della guerra dei Balcani, tanto silenzioso da essere passato inosservato, il Mattarella paziente ricamatore della prima legge elettorale maggioritaria che ci regalerà il ventennio Berlusconiano, il Mattarella beccato con tre milioni in buoni benzina gentilmente donati dall’imprenditore Salamone ( che dichiarò di averne in realtà somministrati 50 sottobanco), sono l’ideale ritratto di un mandarino della Repubblica destinato a traghettare senza scosse il Paese dalla democrazia all’oligarchia e a garantire privilegi e rendite della classe dirigente nel passaggio dal capitalismo produttivo a quello finanziario e dunque anche a impegnarsi in una ferrea ubbidienza alle troike e alla Nato.
Dopo Napolitano che si elesse re per evitare che questa traversata del mar rosso fosse messa a rischio dalle turbolenze di fonte all’impoverimento generale, allo smantellamento del welfare e dei diritti, ora Mattarella potrà tornare ad una gestione più tranquilla e passiva: deve solo coprire ciò che è già stato fatto e fornire ai troppi italiani che non chiedono altro, un alibi più o meno credibile per sentirsi appagati dalle chiacchiere. Valga per tutti il presunto anti berlusconismo di stampo demitiano attribuito al neo presidente: roba di vent’anni fa, dell’agonia democristiana, qualcosa di talmente anacronistico ( e infatti spazzato via dal voto comune) che serve soltanto a simulare presso l’elettorato di destra una presunta “differenza” tra Renzi e il vecchio leader sottoposto a continua tassidermia dai chirurghi plastici.
Del resto in un Paese affetto da scoliosi, dove le schiene dritte sono un comune miraggio, basta dire meglio lui che qualcun altro, basta dire che dopo tutto bisogna crederci. Francamente comincio ad essere stufo e contemporaneamente sadicamente contento di tanta pochezza e impaurita passività, di tanta assenza di un minimo spirito critico, di tanta voglia di essere raggirati: chi è causa del suo mal, pianga se stesso.