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Mille facce, una razza

Creato il 16 luglio 2010 da Pierotieni
Mille facce, una razza
In alcuni post precedenti e nei commenti che ne sono seguiti, sono stati citati più volte i concetti di razza, etnie, genetica, culture. Il Prof. Mantegazza questa volta fa interamente il suo mestiere, incasellando ogni cosa al posto giusto, usando parole chiare ed esempi calzanti.
di Raffaele Mantegazza

Provo a chiarire meglio il mio pensiero, facendo riferimento ai testi e alle esperienze che ho accumulato in oramai 20 anni di lavoro sul tema dell’intercultura. Non dunque l’esposizione a chissà quale lavaggio del cervello ma un paziente e umile lavoro di letture, incontri, viaggi per studi e ricerche (Senegal, Kosovo, Giappone, Romania, Israele, un lungo lavoro con la comunità di italiani in Germania) Esistono le razze umane? Come si decide l’appartenenza a una razza piuttosto che a un’altra? C’entra la genetica? Si può cambiare razza? Michael Jackson ha cercato di fare questo? Oppure siamo tutti uguali, e la razza è soltanto una invenzione dei razzisti? Domande che spesso sentiamo sulla bocca soprattutto dei giovani, domande che non hanno certo una risposta facile. Che ci sia differenza tra un esquimese e un djola del Senegal è evidente: che questa differenza abbia radici biologiche, genetiche, affondate nel concetto di razza, è una cosa assai diversa, e soprattutto non vera. L’unica “razza” scientificamente esistente è homo sapiens sapiens: una razza animale (anche se tecnicamente è una specie) che non ha sottorazze geneticamente determinate. Il che significa che Ambrogio e Lassie appartengono a razze diverse. Anche Lassie e Rin Tin Tin (anche se è un po’ improprio definirle razze). Ma Ambrogio e Mohamed no. Il tutto è dovuto alla cosiddetta neotenia prolungata dell’uomo: ovvero al fatto che i cambiamenti decisivi per i soggetti, quelli che definiscono la loro identità, avvengono fuori dall’utero più che dentro l’utero. Un cane di un mese è molto più simile a un cane di 12 anni di quanto un bambino sia simile a un adulto, perché per il cane l’identità è prevalentemente determinata in senso genetico (mai al 100% come sa chi ama i cani) per un uomo è prevalentemente determinata in senso ambientale. Balotelli ama gli spaghetti e Vasco Rossi non certo per motivi genetici; altrimenti dovrebbe amare il couscous e Joussou’n Dur o Miryam Makeba.

Piuttosto che di razze, concetto troppo compromesso dal suo uso in senso razzista (e che da vent’anni non ha cittadinanza nel dibattito scientifico), si preferisce oggi parlare di etnie; le etnie sono gruppi umani caratterizzati non tanto e non solo da somiglianze fisiche o tra i loro componenti ma soprattutto da somiglianze di tipo linguistico e culturale. Dunque un uomo o una donna non appartengono a una razza che sia riconoscibile dalla forma del cranio o dalle dimensioni del naso (come purtroppo ancora qualcuno ha il coraggio di affermare); ognuno di noi appartiene a un gruppo umano con culture, lingue, usi e costumi differenti.

Dunque le usanze e i modi di comportarsi delle persone hanno radici nella loro appartenenza ai gruppi di riferimento: questo ovviamente non significa per esempio che esistano uomini e donne che siano “aggressivi” per nascita: è stupido affermare che gli scozzesi sono tirchi, gli albanesi aggressivi e che gli africani hanno la musica nel sangue. Parlando di gruppi umani le cose sono molto più complicate, come ha scoperto la signora che ha chiesto a un nigeriano di farle sentire qualche parola in “africano” e si è sentita rispondere “Va bene, e lei mi fa sentire qualche parola in Europeo?”. Però è vero che i gruppi umani si distinguono per particolari usanze e atteggiamenti soprattutto di fronte alla nascita, alla morte, all’amore, alle tappe fondamentali dell’esistenza. E’ importante ricordare soprattutto ai giovanissimi che queste differenze sono culturali: il fatto di essere nati sotto una certa latitudine non ha nessun influsso diretto sul carattere o sul comportamento delle persone, così come il patrimonio genetico (la filogenesi) è ampiamente rimodellato dai modelli educativi (l’ontogenesi). E’ il modo in cui il loro gruppo umano educa le persone, le cresce, le accompagna nei momenti fondamentali della vita a determinare i loro comportamenti, che potranno essere anche –ovviamente- modificati nel momento in cui una persona si allontana dal proprio gruppo di riferimento e sceglie di scontrarsi con i valori rispetto ai quali è stata educata. Nessuno dunque nasce simpatico o antipatico, religioso o miscredente, tirchio o prodigo: le differenze tra culture si rafforzano o si allentano nel corso delle vite delle persone, e costituiscono comunque una ricchezza per il mondo intero. Perché la fondamentale caratteristica delle etnie è che si rafforzano proprio mescolandosi; diventano più resistenti quanto più si espongono alla “contaminazione”.E questo è paradossalmente l’unico elemento che le rende simili alle razze animali: il cane di razza pura è così fragile di fronte alla forza e alla promessa di vita del bastardino. Perché la natura ama la biodiversità. E la contaminazione. E non conosce quella stolta invenzione degli umani: l’impossibile purezza.


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