In uno sperduto paesino della Danimarca, in riva al mare nella zona dello Jutland, alla fine dell’ottocento, vivono due attempate signorine, le sorelle Martina e Philippa. Le due sorelle, ci spiega la voce narrante femminile che ci accompagna lungo il film, hanno speso la vita e quasi tutta la loro modesta rendita in opere di bene. Il loro padre era stato Decano e aveva anche fondato a suo tempo una setta religiosa, di cui restano ancora pochi, anziani ma fedeli seguaci.
Il Decano è morto da tempo, ma le sorelle ancora radunano i residui seguaci a ‘leggere e interpretare il Verbo e onorare la memoria del Decano’ nella loro modesta casa. Martina e Philippa hanno anche una domestica francese, Babette, cosa molto sorprendente dato il rigore della loro vita puritana, ma la spiegazione di ciò è parte della storia che il film racconta e ‘deve essere ricercata nel profondo segreto del cuore’…
Si deve risalire alla giovinezza delle due, quando le due figlie del Decano erano dotate di grande bellezza, e, dato che non erano mai viste a balli o ricevimenti, i giovanotti andavano in chiesa per vederle. Ma esse erano completamente dedite al padre e ad aiutarlo nella sua vocazione, e il padre d’altro canto era molto duro sull’argomento amore-matrimonio delle proprie figlie e per nulla incline a fare a meno del loro aiuto, per cui egli stesso rifiutava la loro mano a ogni giovane che chiedesse di sposarle. E le stesse sorelle non manifestavano alcun desiderio di discostarsi dalla via tracciata dal Decano, per non dispiacerlo. Mi fermo a fare una riflessione sul Decano: un uomo che per tutto il film dai suoi discepoli viene decantato come un esempio di virtù, ma che invece è senz’altro un mostro di egoismo, che non pensa un attimo alla felicità delle figlie e alla loro realizzazione nell’ambito di un amore coniugale e di una famiglia loro, ma le considera come strumenti indispensabili ad aiutare lui (“esse sono la mia mano destra e la mia mano sinistra” dice a ogni giovane pretendente “volete forse privarmi di una mano?”).
Accadde che entrambe tuttavia, pur nel ritiro di quel remoto villaggio, venissero a contatto con due personaggi provenienti dal ‘Gran Mondo’ esterno… Lorens Lowenhielm, un luogotenente degli ussari, di ricca famiglia,’che aveva condotto una vita allegra e si era indebitato’, viene inviato dal padre per punizione a trascorrere 3 mesi lontano dalla vita mondana, presso una vecchia zia, proprio nelle vicinanze del villaggio dello Jutland, dove egli un giorno ha occasione di vedere Martina: ne è così attratto che si fa introdurre dalla zia nella casa del Decano, e partecipa alle riunioni religiose per avere modo di stare accanto a Martina. Ma la giovane non fa nulla per incoraggiarlo, e le riunioni dal Decano, la durezza di costui, la freddezza di Martina, il modo di vivere chiuso dei membri della setta, lo deprimono, e’lo fanno sentire ogni volta più misero e insignificante’, e alla fine si sente “sconfitto da una setta di melanconici devoti che non hanno neppure il sale per la zuppa”… Egli, trascorso il periodo di ‘esilio’ , se ne va rinunciando a Martina per sempre, e dopo una riunione dal decano, le dice anzi che “Qui ho imparato che il destino è duro e crudele, e che in questo mondo ci sono cose impossibili”. Tornato a casa, si ripropone di dimenticare tutto l’accaduto, e di fare carriera, di dedicarsi con tutta la forza ad acquisire successi, di essere un giorno “una figura brillante in un mondo brillante” e così sarà. Si sposa con una dama d’onore della regina Sofia, e inizia la sua vita di vittorie, senza riuscire però a dimenticare del tutto Martina.
L’anno successivo, un altro personaggio, costui un francese famoso, capita nei pressi del villaggio danese… è un acclamato cantante lirico, di nome Achille Papin, ed è in cerca di silenzio, e di un luogo selvaggio e romantico dove riposare per qualche tempo… ma dopo un po’ quel luogo sperduto comincia a deprimere anche lui, finché non ha occasione di ascoltare nella chiesetta del Decano, la voce di Philippa mentre canta: subito immagina in lei una futura primadonna dell’Opera, e si offre di darle lezioni. Il padre acconsente, e, lezione dopo lezione, fra i due comincia a nascere grande affiatamento e tenerezza: è la stessa Philippa che tuttavia rinuncia a lui e chiede al padre di smettere le lezioni di canto. Anche il cantante Papin se ne torna dunque a Parigi, portandosi nel cuore il ricordo di Philippa e del suo talento canoro sepolto in quelle lande sperdute.
Molti anni dopo questi fatti, una notte di settembre del 1871… Una donna arriva sfinita alla casa delle due sorelle ormai anziane, e porta con sé una lettera. E’ una lettera del cantante Achille Papin, la vecchia conoscenza di Philippa, che chiede il favore di accogliere la donna, Madame Babette Harsant, come cuoca e domestica. Durante quell’anno di moti rivoluzionari e guerra civile a Parigi, Babette ha avuti il proprio marito e il figlio fucilati come ‘Comunardi’, e lei stessa s’è salvata a stento. Non ha più nessuno in Francia, e non ha più nulla… Le due sorelle non possono permettersi una domestica, ma Babette non chiede nulla in cambio dei suoi servigi, eccetto che una casa presso cui vivere. Presto Babette si rivela attiva, energica e preziosa, si rende indispensabile, sebbene schiva e riservata, specie sul proprio passato… Babette, la donna parigina, si inserisce nel desolato villaggio danese, e l’unico legame che negli anni le rimane con la Francia è un biglietto della lotteria ‘che un amico fedele le invia ogni anno’.
Dopo 14 anni che Babette è arrivata, ricorre il centenario della nascita del Decano, che le due sorelle vorrebbero commemorare, il 15 Dicembre, con i confratelli della setta…
Con gli anni, fra i discepoli del Decano è cresciuta una brutta atmosfera tesa e polemica, di discordie, intolleranza e dissapori, e riaffiorano in continuazione vecchi rancori e recriminazioni.
Giusto quell’anno il biglietto della lotteria di Babette le fa vincere 10000 franchi. Martina e Philippa temono che Babette con quei soldi se ne tornerà in Francia, e ne sono afflitte.
Ma Babette chiede loro il permesso di preparare lei, coi propri soldi, un vero pranzo alla francese, “un vrai diner français”, per la commemorazione del 15 dicembre.
La vista dell’arrivo delle provviste che Babette fa venire dalla Francia, tuttavia, presto turba le due sorelle, e le fa pentire di aver permesso ‘questo pranzo francese’: si confidano con i loro puritani confratelli, chiedendo perdono per aver dato il permesso perché ‘un sabba si svolga sotto il loro tetto!‘. Martina ha perfino degli incubi, in cui tutto quel cibo ‘insolito’ è associato alle fiamme dell’inferno. La comunità è abituata a un’esistenza estremamente modesta e a cibi molto poveri, (una zuppa di solo pane raffermo cotto con acqua e birra, senza nemmeno il sale come condimento, era stato il primo pasto che Martina aveva preteso di insegnare a Babette, appena costei era giunta dalla Francia!), e quindi le sorelle e gli altri sono estremamente sospettosi verso cibi che nella loro ignoranza e chiusura nemmeno conoscono (vedi la tartaruga per il brodo fatta arrivare da Babette).
Gli altri membri della congregazione per tranquillizzare le due, allora decidono che nulla verrà detto durante quel pranzo, sul cibo e sulle bevande, nessun commento verrà fatto: in quel modo esorcizzeranno il piacere del cibo, ostentando di ignorarlo, è questo il patto e la disposizione d’animo con cui arrivano al giorno del pranzo di Babette.
Il giorno del pranzo, viene annunciato anche l’arrivo di un ospite in più: il Generale Lorens Lowenhielm, colui che era stato il giovane militare innamorato un tempo di Martina, che arriva in compagnia della vecchia zia che un tempo l’aveva ospitato, e che nel frattempo, in tutti quegli anni ha mantenuto le promesse fatte a sé stesso: è diventato un uomo di mondo, di successi e vittorie, ha soggiornato a Londra e Parigi, frequenta la Corte Reale Svedese e ha fatto carriera.
Ma… c’è una scena interessante, mentre l’ormai anziano Lorens si sta vestendo per andare al pranzo delle due sorelle.. egli immagina di vedere se stesso giovane seduto nella camera, e a quel ‘se stesso giovane’ si rivolge, dicendo “Ho esaudito le tue ambizioni… Stanotte noi due dobbiamo chiudere i conti: dovrai dimostrarmi che all’epoca io feci la scelta giusta”. E ancora, più tardi: “Può il risultato di tanti anni di vittorie, risolversi in una sconfitta?”
La preparazione del pranzo, insieme con le scene della sua degustazione, sono la parte più bella del film…in un andirivieni fra la cucina, dove Babette trasformata, eccitata e padrona di sé, con sicurezza e maestria sopraffine prepara squisitezze, e la sala da pranzo dove sono radunati i commensali, puritani fanatici (eccetto il generale) che hanno giurato di non apprezzare il cibo di quel pranzo, un futile e peccaminoso piacere del corpo… Continuano a ripetere: “non una parola sul cibo”, “il cibo non è importante”, “non gli rivolgeremo il nostro pensiero”.
Francamente in quei momenti mi viene immancabilmente da pensare più e più volte alla frase ‘gettare le perle ai porci’. Per fortuna c’è il generale, che sa apprezzare degnamente, dall’inizio alla fine, sorso per sorso, boccone per boccone, decanta per tutto il pranzo quelle delizie per le quali Babette si è tanto prodigata.
Babette per l’occasione ha infatti ordinato non solo il cibo e i vini più raffinati, le spezie, i formaggi pregiati, la frutta costosa, ma persino le eleganti tovaglie di lino, i candelieri d’argento, e un fine servizio di piatti e bicchieri direttamente da Parigi…
Il sontuoso menù non si può non menzionare, dato che viene dato molto spazio alle scene (interessantissime, perfino piene di suspence, quasi una serie di scene da film d’avventura) della sua preparazione:
Babette prepara: brodo di tartatuga, Blinis Demidoff , Cailles in sarcofage, Insalata mista, Formaggi misti, Savarin alla frutta, e della splendida frutta .
Fa servire vini e liquori pregiati, fra cui Amontillado e Champagne Veuve Clicquot 1860 (assaggiando il quale una signora della confraternita dice: “deve essere una specie di limonata”, salvo poi essere diventata un’avvinazzata prima della fine del pasto…), e del brandy a fine pranzo col caffè.
Il generale è l’unico che sappia apprezzare per quel che valgono, anche economicamente, tutti quei piatti e bevande e cibi, e ne parla in continuazione durante il pasto, elogiando ogni cosa che assaggia con stupore sempre crescente, mentre gli altri si concentrano a mantenere la loro promessa di non fare apprezzamenti al cibo e continuano a citare frasi del Decano, aneddoti sul Decano e via dicendo… Quando arrivano la quaglie, le Cailles en sarcofage, il generale sopraffatto dalla sorpresa non può trattenersi dal raccontare che a Parigi, invitato al Café Anglais, il ristorante più esclusivo della capitale (e invero menzionato in svariate opere letterarie), aveva mangiato proprio quelle cailles en sarcofage, invenzione di quella che allora era la chef del Cafè Anglais, una donna, caso unico fra gli chef, e “considerata il più grande genio culinario di quei tempi!” E dice “Ma queste sono davvero le Cailles en sarcofage!”. E racconta che quella donna-chef aveva fama “di saper trasformare un pranzo in un’avventura amorosa”.
Questo pranzo in effetti sembra, man mano che procede, riportare la pace e la serenità negli animi dei confratelli riuniti attorno alla tavola, fino a quel momento litigiosi e pieni di sentimenti ben poco cristiani nei confronti gli uni degli altri, per quanto usassero sempre pregare e citare il Decano e parlare dello Spirito e del Regno dei Cieli: ora si perdonano i torti fattisi a vicenda, arrivano a benedirsi gli uni con gli altri…
Il pranzo di Babette è stato una sorta di choc salutare per la comunità…qualcosa di ‘diverso’, di abbondante e elegante, che ha fatto irruzione nella loro vita chiusa, che si risolve in un insieme di rinunce, privazioni riguardo tutto ciò che riguarda il corpo, e di pratiche religiose quasi ossessive, che però non li hanno portati ad essere migliori. Sono migliori e più cristiani adesso, che si sono lasciati andare al piacere di una serata piena di bellezza, calore, bontà per il corpo, oltre che per lo spirito.
Se ne vanno pieni di letizia e manifestandosi affetto… (cosa che io , che sono una cinica, disillusa e pure astemia… francamente se fosse un episodio reale attribuirei al molto vino servito e bevuto durante il pasto, essendo oltretutto essi persone anziane e non abituate al vino, e specie a quei vini e liquori…
Stavolta Lorens Lowenhielm, congedandosi da Martina, le dice (al contrario di quanto le disse andandosene per sempre, quando era giovane): “Stasera ho imparato che in questo mondo ogni cosa è possibile”.
Il colpo di scena del film è prima il sospetto, poi la certezza che la scomparsa e leggendaria donna-chef del Café Anglais, di cui parlava il generale a tavola è proprio Babette…
Ma soprattutto, la chiave della storia è per me nel dialogo-chiarimento alla fine del film fra Babette e le due sorelle.
Esse si congratulano con Babette per il pranzo, lo hanno apprezzato davvero, e per fortuna…
Ma sono ancora convinte che Babette tornerà in Francia coi 10000 franchi.
Ma Babette rivela loro che non li ha più, i soldi: “un pranzo al Café Anglais per 12 persone costerebbe esattamente 10000 franchi”.
“Ma così sarete povera per il resto dei vostri giorni! Non dovevate fare questo per amore nostro”
“Un’artista non è mai povero! … Non era solo per amor vostro… Potevo renderli felici quando davo tutto il meglio di me… Papin lo sapeva… Lui disse che per tutto il mondo risuona un grido che esce dal cuore dell’artista: consentitemi di dare tutto il meglio di me!“
Babette dopo anni in cui non aveva potuto esercitare la sua arte e il suo talento, povera e in esilio in un luogo senza opportunità, ha approfittato della vincita alla lotteria per esaudire il suo grande desiderio e bisogno di dare sfogo al suo talento, e donarlo agli altri, per la soddisfazione di rendere gli altri felici con l’opera sua.
Mentre i discepoli del decano stanno così attenti a separare nella vita quotidiana ciò che riguarda il corpo da ciò che riguarda lo spirito, disprezzando il primo, e privandosi di ogni piccola gioia ‘materiale’, secondo gli insegnamenti del Decano, Babette invece col suo pranzo dimostra che anche le gioie del corpo, vissute senza eccessi, servono allo spirito, e sono indispensabili al suo benessere e al buonumore: per questo gli adepti della setta prima del pranzo sono in una fase negativa… le privazioni, e l’ignorare il corpo, a questo li ha portati, all’aridità e alla freddezza, alla rabbia e ai rancori e ai litigi.
Quanto alla due sorelle, nel finale chiarificatore, quella che senza dubbio non solo comprende davvero appieno, anche col cuore, il gesto di Babette e ciò che ella prova, ma che scopre di avere una affinità con lei, è Philippa, anche lei dotata del talento eccezionale per il canto che aveva tanto colpito il famoso cantante Achille Papin, poiché anche Philippa (per amore del duro padre) represse il suo talento, come ora tocca fare a Babette. E’ Philippa che l’abbraccia in lacrime, nell’ultima inquadratura, sentendola ancora più vicina, e dicendole che in cielo lei incanterà gli angeli, con la sua arte del cibo, come Papin aveva una volta detto di lei e della sua arte nel canto.
Mi sono resa conto che forse ho parlato molto della storia, e poco dello spirito che secondo me emerge soprattutto nel finale del film.
Questo non è un film a lieto fine… e forse nemmeno un film di buoni sentimenti, secondo me… E di più… solo quando lo vidi la prima volta, lo classificai un film di filone ‘mangereccio’ e quasi a lieto fine… Ma dopo le visioni successive, a età diverse, ci ho visto un ‘messaggio’ completamente diverso (in effetti a pensarci bene, il lieto fine per Babette dove sta??? Ha perso marito e figlio fucilati, rimarrà sola al mondo alla morte delle due sorelle che la ospitano, e ha davanti a sé la prospettiva di una vecchiaia di miseria assoluta..).
Ai miei occhi questa è soprattutto una storia dolorosa di talenti e potenzialità tarpate e represse e sacrificate: il talento di Philippa per il canto, che venne a suo tempo represso perché arte, amore, talento erano considerati in quel luogo sperduto, nell’ambito di quella setta religiosa rinunciataria e arida, una cosa futile, inutile, una Vanità, e quindi una cosa pressoché ‘peccaminosa’ da non coltivare, e possibilmente da soffocare.
Lo stesso è per la vita di Babette da che è fuggita da Parigi: lei ha un talento che non può e non potrà mai esercitare nel luogo in cui è finita: perché lì è un povero e minuscolo villaggio, non solo senza ristoranti o altri luoghi in cui Babette possa dar sfogo alle sue qualità, ma nemmeno la casa privata in cui vive, per via della mancanza di mezzi e del condizionamento culturale e religioso può darle occasione di esprimere il SUO genere di talento, neppure in ambito ‘familiare’, “per fare felici gli altri”; la gente vive in modo estremamente modesto, anche per scelta religiosa, ignara e chiusa al resto del mondo, e per loro va bene, perché conoscono solo quella visione ristretta delle cose.
MAI in quel luogo sarà consentito a Babette di “dare il meglio di sé”, e quel “grido che esce sempre dal cuore dell’artista” non può essere sentito, rimarrà muto e senza risposta.
Per questo Babette approfitta dell’unica occasione che ha per esprimere di nuovo la sua arte: la vincita alla lotteria.
Lei che un tempo era pagata per cucinare nel ‘bel mondo’ di Parigi, ora paga (e tanto: dà tutto quel che ha) per cucinare a suo modo ancora una volta!
E per persone che non sanno apprezzare l’entità di ciò che fa.
Philippa intuisce questo, e si commuove, ma Philippa ha una… consolazione, il pensiero-speranza che un giorno canterà in cielo e “in cielo sarà l’artista che Dio avrebbe voluto che fosse”…
Sono le parole di Papin, che lei serba nel cuore per anni, come per aggrapparvisi. Lei le ripete a Babette mentre l’abbraccia nell’ultima scena, ma io non so di quanta consolazione siano per Babette.
Mi lascia un po’ d’amarezza, questo film… Impressione di disperazione e di rassegnazione insieme, perché ai miei occhi è sempre tristissima la non-espressione delle potenzialità positive di una creatura.
La pellicola, anche se girata senza grandi mezzi, vanta una ricostruzione delle atmosfere, degli abiti e degli ambienti particolarmente precisa e accurata: immancabile all’interno delle abitazioni, dai ricchi palazzi di Lowenhielm e di sua zia, ricchi di fregi e decorazioni, alla casa modestissima di Martina e Philippa, il bel ‘grigio gustaviano’, il colore (grigio-azzurro polvere, freddo, per aumentare la luminosità delle stanze) che tradizionalmente dal XVIII secolo decorava le pareti delle case scandinave.
Degna di nota la recitazione di tutti gli attori, anche se da noi sconosciuti, quasi tutti scandinavi, eccetto la brava e a suo tempo famosa attrice francese Stephane Audran.
Titolo originale: Babettes Gæstebud
Titolo inglese: Babette’s Feast.
Regia: Gabriel Axel.
Soggetto: tratto da un racconto di Karen Blixen
Produzione: Danimarca, 1987
Durata: 100’.
Cast:
Stéphane Audran: Babette
Birgitte Federspiel: Martina
Bodil Kjer: Philippa
Jarl Kulle : Lorens Lowenhielm
Jean-Philippe Lafont : Achille Papin
Premi: Oscar 1987, miglior film straniero.